«L’ultima volta che misi piede in questa sala? Ricordo bene: era il 28 gennaio 2008. E si è sempre emozionati nel tornare in un luogo in cui si è vissuto un pezzo, giusto o sbagliato, della propria vita». Totò Cuffaro parla con la voce un po’ rotta, però è di buon umore. È sereno. Sembra esserlo più di quanto non ne diano l’impressione i suoi contestatori: in particolare i cinquestelle che lì non avrebbero voluto vederlo. E invece dopo più di dieci anni l’ex governatore della Sicilia riappare nella sala di Palazzo dei Normanni intitolata a Piersanti Mattarella. Partecipa al convegno “Oltre le sbarre. Uno sguardo ai diritti e alle tutele dei figli dei detenuti”. Lui sul palco, dopo tanto tempo, fuori il sit- in del Movimento, guidato dal vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana Giancarlo Cancelleri. «Sono qui per mantenere una promessa fatta ai miei ex compagni di cella, ai quali dissi che sarei andato in giro per il Paese a parlare delle carceri e a dire che dentro non vi sono vuoti a perdere, che ci sono non corpi ma anime», spiega l’ex presidente della Regione. Poi risponde a Cancelleri, principale animatore della protesta contro il suo ritorno nella sala intitolata al martire della mafia: «Non ritengo quella dei grillini una polemica nei miei confronti, è una semplice presa di posizione di persone che sostengono alcune cose, e fanno bene a farlo: ce ne sono diverse altre che invece sostengono il contrario».

L’ex governatore che ha scontato la condanna per concorso esterno ritrova la scena pubblica con pacatezza ed emozione. Con parole appassionate, ma anche con una frase in fondo più amara che inopportuna: «Posso fare una battuta pesante? Da uomo d’onore vi dico che non torno in politica, anche se ho chiesto la riabilitazione. Ovviamente uomo d’onore lo dico con ironia...». Potrebbero fargli pagare anche questa, dopo essere statto quello che «ha pagato per tutti», come sostiene Gianfranco Micciché, l’artefice istituzionale della riammissione di Cuffaro, costruita però con pazienza, più di chiunque altro, dall’avvocato Vincenzo Vitale. Micciché, presidente del “Parlamento” siciliano, sale sul palco e abbraccia Totò: «Questa è casa tua». Non è il solo a difenderlo. In prima fila c’è il deputato regionale dell’Udc Vincenzo Figuccia, che ha organizzato il convegno: «Cuffaro ha scontato tutta la sua pena, chi polemizza ha tutto il diritto di farlo ma anche noi abbiamo il diritto di raccontare le condizioni delle carceri e dei carcerati». L’ex governatore le conosce per averle sperimentate e per aver organizzato, dietro le sbarre, persino corsi di sostegno per i reclusi che volevano laurearsi in Legge. Adesso ritorna ai quattro anni più duri della sia vita con una consapevolezza che meriterebbe rispetto: «Va bene così», dice a proposito dell’indignazione grillina, «è giusto che ognuno sviluppi il suo ragionamento: in carcere ho imparato a non giudicare me stesso, figuriamoci gli altri. Accetto la loro posizione anche se non la condivido. Cancelleri è il leader dei pentastellati e va rispettato come tale».

Il tema del convegno non è marginale: sui figli dei detenuti, e ancor più sulla condizione dei minori che vivono in contesti familiari criminali, è stato il Csm a squadernare un confronto difficile, con ipotesi di sradicamento rilanciate nel recente plenum a Napoli. Cuffaro ha suo malgrado acquisito una notevole competenza in materia: distribuisce la prefazione di un libro in cui suo figlio spiega «cosa significa essere figlio di un detenuto». Poi ripete: «Tento di portare un contributo all’umanizzazione delle carceri. Se l’opinione pubblica capirà che dentro quei luoghi non ci sono corpi ma storie di persone, forse anche la politica se ne occuperà e non saremo più in fondo alla graduatoria per la qualità della vita dei detenuti». Una passione che non basta a spegnere la rabbia dei contestatori. I cinquestelle sostengono che «ragioni di opportunità politica, sociale e istituzionale avrebbero imposto di individuare un altro posto, non una sala intitolata a un martire nella lotta alla mafia». Nel post che spiega le ragioni del sit- in avanzano un’ipotesi terribile: «La mafia vive di simbologie: portare un ex detenuto, condannato per aver tradito lo Stato, nella sala di chi di mafia è morto significa nel linguaggio mafioso che la mafia è più forte dello Stato e che può sbeffeggiare le più importanti istituzioni». Micciché la pensa in tutt’altro modo: «La presenza di Totò Cuffaro anche a me fa venire dei brividi, ma sono brividi di emozione, diversi da quelli di qualcun altro...». Contro l’anatema del M5s si pronuncia anche il Pd. Innanzitutto l’ex sottosegretario, ora a Palazzo Madama, Davide Faraone: «Cuffaro non deve varcare la soglia di Palazzo dei Normanni, Salvini però può girare in diretta facebook, dal Viminale, un video contro la magistratura: come al solito, giustizialisti a corrente alternata». Poi annuncia di essersi «iscritto ai radicali» e attacca: «I cinquestelle non sanno in che condizioni pietose vivono i detenuti e nemmeno gli interessa saperlo: chi ha sbagliato deve marcire in galera e basta, questo vuole la folla urlante con la bava alla bocca e questo bisogna dargli».

Cuffaro dedica la fine del suo intervento al Burundi, dov’è impegnato come volontario: «Sono stato radiato dal’albo dei medici, non posso praticare la professione in Italia, ma in Burundi lo posso fare. Raccoglierò i fondi per costruirci un ospedale». Sfugge alle polemiche con la dolcezza, Totò. E stavolta l’impressione è che non riusciranno a incastrarlo.