Nel 1937 fu Judy Garland, nel 1976 Barbra Streisand e nel 2018, fuori concorso alla Mostra Inter-nazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Lady Gaga rinasce attrice diretta da Bradley Cooper, anche co– protagonista, nel terzo remake di È nata una stella. Sì, una rinascita per Gaga che esteticamente si spoglia delle sue vesti pop trasformiste per raccontare un percorso, quello della nascita, l’affermarsi e il maturare di una stella, una star della musica.

La trama è nota. Un cantante affermato, in un momento di iniziale declino della sua fama, assiste per caso in un bar di drag queen alla performance canora di Ally, aspirante cantautrice che ha però perso le speranze di affermarsi. I loro occhi si incrociano e una notte insieme di chiacchierate e scazzottate, tra bar e supermercati, completa la sintonia. Due persone che si trovano nell’istante giusto, lei ha bisogno di qualcuno che creda in lei e lui di ritrovare il senso di quello che fa, della musica, della creatività, dell’amore.

È accaduto un po’ così anche a Lady Gaga e Bradley Cooper: si sono incontrati in una fase di vita in cui entrambi volevano lanciarsi in una nuova avventura. Gaga voleva testarsi come attrice; Cooper passare dietro la macchina da presa. E così i due artisti si sono messi a lavoro e hanno scritto insieme ogni brano del film e lo hanno registrato live. «Finalmente corono il mio sogno di diventare attrice, qualcuno ha creduto in me e questo mi ha fatto vincere la sfida” dichiara una Lady Gaga raggiante e riconoscente a Bradley Cooper per il supporto e l’appoggio.

A star is born introduce qualche differenza dalla trama raccontata dalle versioni precedenti, segno che ogni regista, da George Cukor a Frank Pierson, ha deciso di “rinfrescare” questa storia d’amore, evidentemente senza tempo, per adattarla al momento storico in cui è ambientata.

Bradley Cooper ci dona un Jackson Maine sempre intenso, contrastato nel suo rapporto difficile con la sua musica, il suo passato ( che scopriamo lentamente durante il film, grazie al suo aprirsi con Ally) e la dipendenza da alcol e droghe. Cooper riesce abilmente a tenere testa al doppio ruolo di attore e regista e non perde occasione per sfoggiare le sue doti attoriali ed an- che canore e musicali, tra assoli di chitarra e brani malinconici in cui canta «forse è arrivato il momento di abbandonare le vecchie abitudini». Tutto ciò Cooper lo ha ottenuto grazie all’intesa con Lady Gaga: «Dopo i primi venti minuti del nostro incontro già cantavamo insieme, ero seduto nel suo soggiorno con lei al piano... mi ha fatto sentire completamente a mio agio e protetto».

I fan di Lady Gaga sanno che c’è più di una similitudine tra Ally e gli inizi di colei che all’anagrafe si chiama Stefani Joanne Angelina Germanotta ( di origine italiane). «Quando ho iniziato – racconta – c’erano molte ragazze più belle di me e i produttori volevano dare le mie canzoni a loro ma io me le sono tenute strette. Avevo già un carattere forte e portavo avanti la mia visione personale, proprio come la protagonista di questo film». Cooper e Lady Gaga hanno condiviso i veri palchi dei festival musicali, come il famoso Coachella o il festival di Glastonbury, cantando davanti a migliaia di fan. Se Cooper ha dovuto abbandonare ogni timidezza per esibirsi di fronte a tante persone, Lady Gaga ha dovuto riscoprirsi fragile come in un nuovo inizio: «Fa parte della mia arte trasformarmi in personaggi diversi ma Bradley Cooper mi ha voluta senza trucco. Voleva mostrare la mia fragilità. Ho scoperto un nuovo volto in me e una nuova vulnerabilità». Venezia 75 ha scoperto decisamente due nuovi talenti che si nascondevano dentro quelli già afferamati: Bradley Cooper è decisamente un bravo regista e Stefani Germanotta/ Lady Gaga è solo all’inizio di una brillante carriera da attrice.

Nel filone film in concorso targati Netflix il terzo giorno ha visto arrivare i fratelli Coen a presentare The ballad of Buster Scruggs, un western in sei episodi con un cast formato da Tim Blake Nelson, James Franco, Liam Neeson e Tom Waits. I registi definiscono questa “ballata” un film antologico, poiché ogni episodio è nato in diversi momenti: «Le storie le abbiamo scritte nel corso di un periodo di 25 anni. Scrivevamo questi racconti e non sapevamo bene cosa farci, allora le mettevamo nel cassetto. Anche se erano completamente differenti per atmosfera e argomento rientravano tutte in una vaga idea di western, in qualche modo raccontavano tutte la stessa cosa e ci sembrava interessante metterle insieme».