Continua la permanenza forzata dei migranti sulla nave Diciotti. Per i 150 passeggeri rimasti è il decimo giorno a bordo dopo il salvataggio, il sesto dall’approdo a Catania di lunedì sera. La permanenza forzata ha spinto alcuni occupanti della nave a intraprendere lo sciopero della fame. «È comprensibile – spiega il senatore Davide Faraone del PD - sono tenuti nei fatti in ostaggio, senza una plausibile ragione». Non la pensa allo stesso modo Matteo Salvini che commenta così la notizia: «Facciano come credono. In Italia vivono 5 milioni di persone in povertà assoluta che lo sciopero della fame lo fanno tutti i giorni, nel silenzio dei buonisti, giornalisti e compagni vari». Ma le condizioni si aggravano e i migranti vivono in una situazione estremamente difficile. È Daniela De Robert, componente della delegazione del Garante delle persone detenute o private della libertà personale, a riportare la condizione ambientale. «Abbiamo trovato delle persone che vivono ormai da otto giorni in una situazione estremamente difficile», racconta. «Dormono su un ponte, non ci sono docce, ci sono solo due bagni, c’è solo una canna per lavarsi, non hanno ricambi. Ci sono molte persone con la scabbia ed è difficile fermare o rallentare la malattia perché c’è promiscuità». Ma chi sono i migranti, di fatto, ristretti? E, soprattutto, possono essere definiti illegali come dice Matteo Salvini? Non può saperlo. Ogni singola posizione va valutata attentamente. Non è un caso che esistono i centri di prima accoglienza o gli hotspot, strutture attrezzate per aderire agli impegni assunti con la Commissione europea. In questa fase si svolgono tutte le operazioni di soccorso, di prima assistenza sanitaria, di pre- identificazione e fotosegnalamento, di informazione sulle procedure dell’asilo e della relocation. Insomma non si può sapere se sono illegali: avviene a terra l’identificazione per fare una prima distinzione tra richiedenti asilo e non. La maggior parte dei migranti trattenuti sulla nave provengono dall’Eritrea. Di solito sono obiettori di coscienza, renitenti alla leva o disertori che fuggono da un Paese dove il servizio militare è obbligatorio, a tempo indeterminato per uomini e donne, e inizia nei due anni finali della scuola superiore, che si trova in un campo militare. Il rapporto 2015 di Freedom House inserisce l’Eritrea tra i 12 peggiori paesi al mondo (“Worst of the worst”) per quel che riguarda diritti e libertà civili e politiche. Ad Asmara c’è un presidente in carica da 22 anni ( Isaias Afewerki è al potere dal 1993); non esiste stampa libera ( l’ultimo giornale non governativo è stata chiuso nel 2001 e i giornalisti imprigionati); è impossibile avere visti per lasciare il paese legalmente, non ci sono elezioni dal 1993, senza libertà politiche e di associazione, senza potere giudiziario e fonti d’informazione indipendenti. Le condizioni del servizio militare sono considerate al pari della schiavitù e i soldati sono spesso costretti ai lavori forzati, oltre che ad abusi fisici e torture. L’Unione Europea riconosce il diritto all’obiezione di coscienza, e la Costituzione italiana riconosce il diritto d’asilo per casi come questi. Se qualcuno di loro, proveniente dall’Eritrea, si dichiara “obiettore di coscienza al servizio miliare”, fuggito per evitare il carcere a tempo indeterminato, rientra in ciò che è previsto dal terzo comma dell’articolo 10 della Costituzione italiana: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica». Il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare è uno dei fondamenti dell’Unione Europea. Un obiettore di coscienza perseguitato nel proprio paese che si presenta al porto di Catania, in Europa, ha quindi il diritto ad essere accolto e vedersi riconosciuto il diritto d’asilo.

Nel frattempo crescono le mobilitazioni. Prima ci hanno pensato i catanesi che si sono presentati al porto ognuno con un arancino in mano come segno di accoglienza verso i migranti bloccati, poi si è accodata anche la Cgil che ha deciso di organizzare un sit- in per manifestare solidarietà. È così che mentre tra gli esponenti politici e le organizzazioni umanitarie continuano i diverbi sul destino delle persone a bordo della nave, la Sicilia si è mobilitata per lanciare un messaggio di ospitalità e umanità. Oggi, a partire dalle 17 si mobilita il mondo dell’associazionismo, quello politico e sindacale per partecipare al presidio antirazzista al Porto di Catania per chiedere di far scendere i migranti. Si è creata, con l’ausilio delle forze dell’ordine, una vera e propria zona rossa, volta ad impedire che si avvicinino i manifestanti.