Da oltre un mese non ci capitava più di polemizzare con il dottor Gratteri. È un’abitudine che non vorremmo perdere. Scherzi a parte, ormai il procuratore di Catanzaro, almeno a me, è diventato simpaticissimo ( senza ironia) ma la distanza tra le mie idee su giustizia e diritto e le sue si ingrandisce sempre di più.

Stavolta vorrei commentare brevemente un discorso che il Procuratore ha pronunciato a Paola, in Calabria, durante un dibattito con alcuni giornalisti ( Gianluigi Nuzzi e Maurizio Belpietro) e che credo riguardasse i rapporti tra giustizia e informazione.

A un certo punto Gratteri ha detto: «Tra alcuni avvocati e alcuni clienti l’ampiezza della scrivania si è ridotta. Permettere questo, soprattutto in ambito penale, è molto pericoloso».

Cosa intendesse dire non è chiarissimo. O Gratteri - dando per scontata, come spesso gli accade, la colpevolezza dell’imputato - sosteneva che molti avvocati tendono a trasformarsi in complici, cioè a partecipare ai delitti. Oppure voleva dire che l’avvocato si appassiona eccessivamente alle ragioni e ai diritti dell’imputato, e in questo modo “crea pericolo”, cioè ostacola l’azione del pubblico ministero e in definitiva danneggia la giustizia.

La prima ipotesi mi pare improponibile e improbabile, perché sarebbe una vera e propria - e infondata, e offensiva - accusa alla categoria degli avvocati, che non credo - se un po’ lo conosco - sia nei pensieri e nel modo di vedere di Gratteri.

La seconda ipotesi mi pare molto più credibile. Gratteri è uno di quei magistrati che sono arciconvinti che la giustizia non sia l’espressione dello Stato di Diritto - e dunque di un sistema complesso e ben strutturato di regole che garantiscono tutti, anche gli imputati e persino i colpevoli, e che si innestano nella costruzione della Costituzione italiana - ma che piuttosto sia una “Macchina Etica”, fatta per punire i colpevoli e i sospetti, e per far prevalere il Bene, e che ha il dovere di travolgere le difese, perché le difese, in ogni caso, sono un elemento che aiuta l’impunità, e cioè la criminalità e l’illegalità, e cioè il Male.

Per questa stessa ragione, io penso, il dottor Gratteri, dopo aver attaccato gli avvocati ha attaccato i giornalisti. Ha detto che «bisogna far pulizia negli organi di stampa. Ci sono cronisti con una pagina e mezzo di reati giudicati che continuano a esercitare la professione, così come quelli che scrivono per screditarmi. Ho disposto 169 arresti, il Riesame ne libera 5 e alcuni giornali dicono che l’operazione è un flop».

Stanno così le cose? Ed è giusto impedire ai giornalisti che criticano i magistrati di svolgere la loro professione?

Io risponderei con due no, a queste domande. Impedire ai giornalisti di fare la propria professione se le loro critiche sono sgradite è un’attività che adatta solo agli stati totalitari. E le scarcerazioni ordinate dal riesame in occasione dell’inchiesta Stige ( alla quale si riferisce Gratteri) sono molte più di cinque. Credo che siano oltre trenta. Potrei poi citare tante altre inchieste del passato, condotte da Gratteri e da altri magistrati, con percentuali di scarcerazioni e poi di assoluzioni vicine all’ 80 o al 90 per cento. Il punto però è un altro. Gratteri ha definito l’inchiesta Stige la più grande dell’ultimo secolo. Ha detto che andrebbe studiata nelle scuole. Quindi lui considera l’arresto ingiusto di una trentina di persone ( ma fossero anche solo cinque) come un fatto ininfluente? E’ giustizia arrestare 30 persone ( o 5) che non meritano l’arresto? Va insegnato questo agli studenti?

P. S. 1 - Gratteri - secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa - avrebbe detto: “Ho disposto 169 arresti”. Può darsi che le agenzie abbiano sbagliato. Lo spero. Altrimenti Gratteri si sarebbe appropriato di un compito e di un potere ( enorme) che non è suo: disporre gli arresti. Gli arresti li dispone il giudice ( il Gip) non il Pm. Se un Pm crede di aver disposto gli arresti vuol dire che davvero è urgentissimo procedere alla separazione delle carriere.

P. S. 2 - Ne abbiamo parlato spesso nei giorni scorsi. Il tema è sempre quello: di fronte a pezzi di magistratura e di mondo politico convinti dell’inutilità dell’avvocato, e che immaginano l’avvocato come un “complice ( vedi il recente caso Dalla Chiesa- Zampogna) si può salvare lo Stato di Diritto solo con una forte iniziativa di segno opposto. Voi sapete che il Cnf ( il Consiglio forense) da tempo propone la definizione del ruolo dell’avvocato in Costituzione, con una modifica dell’articolo 111. Bene: è sempre più urgente.