La prima celebre vittima del vaiolo fu il faraone Ramses V, morto nel 1156: la sua testa mummificata rinvenuta nel 1898 dall’egittologo francese Victor Loret presentava i segni inequivocabili della malattia. Legenda vuole che la sesta piaga d’egitto annunciata da Mosè fosse proprio il vaiolo citato obliquamente nel Deuteronomio: «Il signore ti colpirà con le ulcere d’Egitto, ti colpirà alle ginocchia e alle cosce con un ulcera maligna dalla quale non potrai guarire; ti colpirà dalla pianta del piedi alla sommità del capo» ( 28,27, 28,35). Pustole orrende, desquamazioni, dolori atroci, emorragie, la scure del vaiolo assomigliava decisamente a una piaga biblica.

Da allora il virus ha viaggiato industurbato per il pianeta e lungo i secoli; sembra che i mercanti egiziani lo abbiano trasportato in India come testimoniano alcuni trattati medici del VI secolo avanti Cristo che descrivono le orribili lacerazioni dei contagiati. Ma nessuno sapeva di cosa si trattasse. Meno letale della peste, ha avuto effetti ugualmente disastrosi sulla demografia in quanto colpisce in giovanissima età.

Ritenuto responsabile della sconfitta di Atene contro Sparta durante la guerra del Peloponneso, quando arrivò a Roma nel 170 D. C fu chiamato “peste ateniese” e poi “peste antonina” ( da patronimico dell’imperatore Marco Aurelio), una piaga che in trent’anni uccise circa 20 milioni di persone. Le periodiche epidemie dell’epoca medievale non ebbero effetti devastanti fino a quando la popolazione europea non au- mentò al punto da offrire al virus un ecosistema ideale per la sua diffusione.

È impossibile calcolare quante vittime ( tra queste anche il re di Francia Luigi XV) abbia provocato il vaiolo dall’epoca delle crociate all’inizio dell’era moderna, diverse centinaia di milioni considerando un tasso di letalità del 30%.

Poi un giorno. verso la fine del XVIII secolo un oscuro medico di campagna inglese che si chiamava Edward Jenner ebbe una delle più felici intuizioni della storia della medicina. Forse la più felice in assoluto. Si accorse che i contadini quotidianamente a contatto con mucche affette dal vaccinia virus non venivano contagiati dalla malattia. Per dare consistenza scientifica alla sua osservazione Jenner prelevò il contenuto delle pustole delle mucche e lo inoculò al figlio del suo giardiniere che aveva 8 anni. Dopo una lieve febbre in due giorni il bambino recupera completamente la salute. Un paio di mesi dopo Jenner replica stesso esperimento con il vaiolo ( che appartiene stesso ceppo del vaccinia virus), stavolta il bambino non ha neanche una linea di febbre, è semplicemente immune alla malattia. È stato creato il primo vaccino.

La carriera di Jenner decolla mentre per l’umanità si apre una nuova era. Se ne accorgono anche i sovrani, da Napoleone allo Zar di Russia, passando per il Pascià d’Egitto, tutti comprendono l’importanza della scoperta che può alinetare la potenza demografica dei loro regni. Anche se poi ci vogliono cento anni per arrivare a un secondo vaccino. Fu merito del francese Louis Pasteur, il quale riesce a creare il vaccino contro la rabbia, malattia mortale che colpisce il sistema nervoso. Il biologo inietta il suo preparato a un bambino di 9 anni morso da un cane lupo affetto da rabbia: il piccolo sfugge al contagio.. Pasteur, in omaggio alle ricerche di Jenner sul virus vaccinia, chiama il suo rimedio “vaccino” in senso lato e fa del suo laboratorio il principale centro studi d’Europa sui virus.

Certo, la paura ancestrale di vedersi iniettata una sostanza nelle vene ha accompagnato il rimedio con inziale scetticismo, lo stesso filosofo tedesco Kant, uno con i piedi ben piantati nell’Illuminismo, rifiutava una pratica che a suo avviso «animalizza l’umanità». In Gran Bretagna, patria di Jenner, l’obbligo legale di immunizzarsi al vaiolo ( 1853), provoca addirittura una rivolta tra le classi popolari, l’epicentro è Leicester, che diventa capitale della Lega- antivaccinale. Nel 1906 il governo inglese abolisce l’obbligo ma di fronte agli straordinari risultati nella lotta al vaiolo lo scetticismo evapora in fretta.

Nel Ventesimo Secolo i vaccini diventano un elemento centrale dei dispositivi sanitari di Stato e della stessa governance medica internazionale: l’aumento vertiginoso di scambi e viaggi tra le nazioni offre uno scenario globale ai virus e la vaccinazione diventa una pratica di massa, coordinata dall’Organizzazione mondiale per la sanità ( Oms): la scienza forgia un’alleanza di ferro con le istituzioni.

Un grande testimonial per la campagna di vaccinazione fu il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, colpito dalla poliomielite ( anche se per diversi medici era affetto dalla sindrome di Guillain- Barré, una rara malattia autoimmune) all’età di 39 anni.

Questo uomo carismatico e amatissimo è stato un “presidente seduto”, incapace di tenersi in piedi si spostava grazie a una sedia a rotelle e non esistono fotografie che lo ritraggono mentre cammina con le sue gambe. Roosevelt era un grande fautore dei vaccini, e durante i suoi mandati sovvenzionò diverse fondazioni di ricerca: milioni e milioni di dollari per trovare una cura per la poliomelite. Che vede la luce nel 1954, nove anni dopo la sua morte grazie a una gigantesca colletta chiamata March of Dimes e al lavoro del medico newyorkese Jonas Salk che crea in laboratorio il vaccino contro la polio ( nel ‘ 52 aveva colpito 60mila americani con 3155 decessi). Anche gli Stati Uniti entrano prepotentemente in campo nella ricerca virologica.

Dopo il successo dell’antipolio tramite le colture di virius in vitro, nuovi vaccini irrompono sulla scena medica; quelli antibatterici contro il tetano, la difterite, la pertosse affiancano gli antivirali contro il vaiolo, la rosolia e gli orecchioni. La loro adozione come strumento di sanità pubblica e la gratuità della loro diffusione fa ormai parte delle responsabilità dello Stato moderno, un principio condiviso da tutte le nazioni, nonostante le isteriche campagne dei novax che richiamano alla mente la paranoia collettiva che, nel 1906, colpì gli abitanti Leicester. Se la battaglia contro alcune malattie terribili e ritenute incurabili per millenni sembra ormai vinta, è bene tenere alta la guardia. Il vaiolo, la cui cura è stata scoperta alla fine del 700 è stato debellato in modo definitivo soltanto nel 1971, quasi 200 anni dopo, mentre ancora oggi si registrano casi isolati di poliomielite in paesi come il Pakistan, l’Afghanistan, la Nigeria e il Kenya. Nessuna epedemia dietro l’angolo, ma la persistenza del virus ci fa capire che per vincere la guerra ci vuole pazienza, tenacia e una comunità che remi nella stessa direzione.