Honeymoon, sussurrano i naufraghi dandosi di gomito sui lidi dove i tentacoli gialloverde non arrivano. Poi, si sa, c’è sempre chi vuole strafare e compita l’intera frase in inglese: Don’t mind those two, they are still in honeymoon stage: Non farci caso, sono ancora in luna di miele. La considerazione è accompagnata da un sorriso compiacente, di chi sa che è uno stato transitorio. E pone già una scadenza temporale per la conclusione: l’autunno delle manovre sul bilancio. Honeymoon, benché un po’ surreale, è il grido di battaglia di quelli che hanno perso e cercano rivincita. È la convinzione delle élite strapazzate dal voto del 4 marzo; dei burocrati e grand commis che non sono riusciti a salire su carro dei vincitori; degli esclusi loro malgrado; delle opposizioni che covano vendetta e cercano rivincita. È il motto dei tanti che hanno vissuto parecchie stagioni politiche e sanno che quando c’è tempesta l’unica è sedersi sulla riva del fiume ad aspettare che passi il cadavere dell’avversario.

Perciò basta pazientare qualche settimana, al massimo qualche mese, e l’impalcatura della maggioranza crollerà come un albero infradiciato, trascinandosi appresso il governo dell’” esecutore” Giuseppe Conte.

Quest’esercito sbandato che non trova generali compulsa con sufficienza i sondaggi che vedono crescere i partiti di governo e si consola affidandosi al vaticinio che è tutta fuffa, effetto appunto della luna di miele che sempre contraddistingue il popolo che ha votato e gli eletti che hanno fatto man bassa di consensi: tanto poi finisce. Lo sanno le coppie di sposi, lo sanno quelli che sono avvezzi alle mutevolezze della politica.

Hanno ragione? Se ci limitassimo ad un sguardo superficiale alla realtà, la tentazione di rispondere positivamente sarebbe forte. Il via libera al primo provvedimento economico dell’esecutivo, il cosiddetto Decreto dignità, è arrivato nel giorno in cui lo spread schizza a 250 e la Borsa perde l’ 1,7 per cento: sordo brontolio dei tuoni che annunciano l’uragano e aspettano solo la legge di Stabilità per scatenarsi. Sulla Rai va in frantumi il simulacro del centrodestra unitario, ed è battaglia su chi arruola il maggior numero di esodanti. Tra Lega e Cinquestelle la sintonia formale lascia spazio a divaricazioni ripetute: sono due rette che viaggiano su binari paralleli, senza incontrarsi ( e in verità neppure scontrarsi) mai. Nel governo, il braccio di ferro tra i due vicepremier e il ministro dell’Economia è sotterraneo ma feroce: qualcuno finirà per farsi male.

Si potrebbe andare avanti, ma basta così. Quelle appena esposte sono tutte cose vere e verificabili. Eppure non sono sufficienti a garantire l’effetto demolitore che il pezzo d’Italia che non si riconosce nel Contratto di governo aspetta e auspica. Al contrario, il sussurro dell’honeymoon rischia di rivelarsi un abbaglio, un alibi che si frantuma appena maneggiato, esattamente come dovrebbe avvenire per le promesse elettorali di Salvini e Di Maio destinate a restare impresse nel libro dei sogni.

Forse la verità per tutti, vincitori e vinti, è che risulta fin troppo complicato prendere coscienza di ciò che è avvenuto nel profondo del Paese, dei mutamenti sociali, politici e culturali che contraddistinguono l’attuale fase storica. Gli uni e gli altri, infatti, sembrano aver definitivamente abbandonato l’idea di dialogare con l’elettorato - proprio e altrui maneggiando le leve della razionalità e del convincimento. Entrambi, nell’epoca dei social e della comunicazione obbligatoriamente semplificatoria, paiono convinti che l’unica possibilità è affidarsi alla pancia dei cittadini, all’umore primitivo che alberga in loro e che, secondo questo orientamento, rappresenta la bussola del comportamento e delle decisioni. Maggioranza e opposizione paiono aver fatto proprio il meccanismo stimolo- risposta che tanto ha affascinato gli psicologi dell’inizio del secolo: una miriade di riflessi condizionati che escludono ponderazione e analisi, ritenuti orpelli inutili e fuorvianti.

Il risultato è che M5S e Lega per un verso; Pd e FI per l’altro fomentano vicendevolmente gli animal spirits dei loro sostenitori, in un infinito ping pong di accuse e controaccuse, di cori e coretti da stadio: come se l’unica espressione possibile del pensiero fosse quella degli ultrà dell’una o dell’altra fazione. Così Salvini esaspera lo spettro dell’immigrazione incontrollata e Di Maio alimenta il falò dell’anti casta bruciando il totem dell’Air force Renzi, mentre il Pd e la sinistra - aiutati dalla disinvoltura del ministro leghista Fontana gridano al razzismo incombente mallevadore del fascismo mai sepolto; e i berluscones inveiscono contro il crollo della Maginot anti- statalista e il tradimento salviniano delle aspettative e dei bisogni del Nord.

Quale sia lo sbocco politico di questo tifone sconclusionato e viscerale, distante anni luce dai criteri del confronto democratico, non è chiaro. Mentre è chiarissimo che a forza di evocare l’irrazionalità, alla fine ne verremo tutti travolti.