L’ anno 1993 il mese di marzo il giorno 17 alle ore 9.30 nella Casa Circondariale di Roma Rebibbia in relazione al procedimento penale nr. 777/ 93 R. I.

Innanzi al Procuratore della Repubblica di Palermo dott. Giancarlo CASELLI e al Sost. Proc. dr. Antonio INGROIA, assistititi per la redazione del presente verbale dal Cap. Giuseppe DE DONNO in servizio presso il Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri.

E’ comparso Vito Calogero CIANCIMINO, in atti generalizzato, assistito dall’avv. Giorgio GHIRON anche in sostituzione dell’avv. Roberto CIANCIMINO. Preliminarmente l’Ufficio rammenta al signor CIANCIMINO il contenuto del precedente verbale, nonché la notizia ( pervenuta tramite R. O. S.) di richiesta di nuovo interrogatorio da parte di esso CIANCIMINO. Pertanto l’Ufficio invita il signor CIANCIMINO a rendere le dichiarazioni che egli aveva preannunciato e a sciogliere la riserva di cui al precedente verbale nel senso in tale verbale specificato. Si dà atto che il CIANCIMINO rende spontaneamente le dichiarazioni di seguito verbalizzate.

Avevo avuto dal Cap. DE NONNO varie sollecitazioni per iniziative comuni. Le avevo respinte. Ma dopo i tre delitti ( quello di LIMA, che mi aveva sconvolto; quello di FALCONE che mi aveva inorridito; quello di BORSELLINO che mi aveva lasciato sgomento) cambiai idea e ricevetti nella mia casa di Roma il predetto capitano. Gli dissi che non riuscivo a vedere quale potesse essere lo “sbocco” dei tre delitti. Ipotizzai che vi potesse essere dietro la matrice mafiosa anche un disegno politico. Dissi che se il disegno era soltanto mafioso, o politico- mafioso, o soltanto politico in ogni caso la Sicilia ne sarebbe uscita massacrata. Manifestai la mia intenzione di collaborare ma chiesi un contatto con un livello superiore. Conseguentemente il capitano DE DONNO tornò a casa mia ( mi pare il 1 settembre 1992) accompagnato dal Col. MORI. Esposi il mio piano: cercare un contatto per collaborare con i Carabinieri. Questo piano fu dai Carabinieri accettato e una ventina di giorni dopo incontrai una persona, organo interlocutorio di altre persone. Pensavo che questo interlocutore fosse asettico invece assunse un atteggiamento che considerai altezzoso e arrogante, perché – riferendo le cose dettegli dalle altre persone con le quali faceva da tramite – mi apostrofò più o meno con queste parole: “si sono rivolti a lei? Allora aggiustino prima tutte le cose sue e poi discutiamo”. Giudicai questo atteggiamento altezzoso ed arrogante se non altro perché c’erano problemi temporali, nel senso che il mio processo in appello era fissato per il 18 gennaio e mancava perciò spazio per qualche intervento. Sta di fatto che questo atteggiamento altezzoso rafforzò in me l’idea della possibile matrice politica di cui ho sopra detto.

Ci fu poi un ritorno di fiamma delle persone delle quali ho sopra detto le quali mi diedero piena delega a trattare. Chiamai i Carabinieri i quali mi dissero di formulare questa proposta: “consegnino alla Giustizia alcuni latitanti grossi e noi garantiamo un buon trattamento alle famiglie”. Ritenni questa proposta angusta per poter aprire una valida trattativa e convenni con i Carabinieri di comunicare a quelle persone che le trattative dovevano considerarsi chiuse, come se i Carabinieri non avessero più niente da discutere. In realtà avevo convenuto con i Carabinieri che era meglio non far conoscere la loro proposta, troppo ultimativa, perché essa avrebbe definitivamente chiusa qualunque spiraglio. Stabilii peraltro di continuare a titolo personale i miei rapporti con i carabinieri. Frattanto riflettevo che quelle persone, per assumere l’atteggiamento arrogante di cui sopra dovevano essere pazze o avere le spalle coperte. Io mi ero presentato all’intermediario facendo nomi e cognomi, menzionando cioè ( autorizzato da loro) il Capitano DE DONNO e il Col. MORI, come mio “lasciapassare”, dicendo che i due – al pari di me – erano preoccupati per la situazione. A questo punto il mio interlocutore avrebbe potuto esprimere qualche valutazione sul contatto che i Carabinieri avevano preso con me. L’interlocutore ( che era anche ambasciatore) neppure mi chiese che cosa i Carabinieri volessero. Si limitò a dirmi quel che ho già riferito e cioè che se si erano rivolti a me prima di tutto dovevano aggiustare le cose mie. Solo che non si trattava di un aggiustamento come spostare un’auto. C’era, come ho detto, quantomeno un problema di tempi per il processo di appello fissato per gennaio. In sostanza la mancanza di interesse dell’interlocutore - ambasciatore per le proposte dei carabinieri e nel contempo la prospettiva di un impossibile aggiustamento mi portarono appunto alla riflessione che un atteggiamento simile potevano tenerlo soltanto persone che fossero o pazze o con le spalle coperte.

Decisi allora di passare il Rubicone e comunicai ai Carabinieri che volevo collaborare efficacemente. Chiesi che i miei processi “tutti inventati” si concludessero bene. Consegnai una copia del mio libro- bozza. Proposi come ipotesi di collaborazione un mio inserimento nell’organizzazione a vantaggio dello Stato. Ero consapevole che se fossi stato scoperto avrei potuto rimetterci la pelle, ma volevo così riscattare la mia vita. Dissi al Cap. DE DONNO che avrei chiesto il passaporto per vie normale, poiché il passaporto mi occorreva per l’ipotesi di inserimento di cui sopra ( oltre che per le trattative con l’editore straniero di cui ho parlato in altro verbale). I Carabinieri accolsero la mia proposta e mi sottoposero – su mia richiesta – mappe di alcune zone della città di Palermo nonché atti relativi ad utenze AMAP, perché esaminando questi documenti e facendo riferimento a due lavoretti sospetti, in quanto suggeritimi a suo tempo ( una decina di anni fa) da persona modesta ma vicina ad un boss, fornissi elementi utili per l’individuazione di detto boss.

Proposi inoltre ai Carabinieri l’utilizzo di alcuni canali che avrebbero potuto consentire una certa penetrazione nell’organizzazione, nel senso che durante il periodo in cui ero stato assessore ai lavori pubblici e successivamente durante il periodo in cui mi ero occupato del PEP; dovendo risolvere problemi assai complessi che comportavano anche la possibilità di agevolazione sia pure in un quadro di ortodossia, avevo avuto tutta una seria di rapporti che consentivano di notare alcune cose. In particolare ero stato stimolato ad avere conversazioni con certe imprese. Allora non avevo accettato, ma ora ( stabilito il rapporto con i Carabinieri) potevo riattivarmi per vedere se il collegamento con quelle imprese potesse portare alla confidenza utile nell’ambito del rapporto da me stabilito con i Carabinieri.

Il 17 dicembre partii per Palermo dove mi incontrai con l’intermediario- ambasciatore che doveva darmi una risposta entro il martedì successivo. Infatti io gli avevo raccontato ( d’intesa con i Carabinieri) una “palla” sonora, grossa come una casa, vale a dire che un altissima personalità politica ( che non esisteva) che era un’invenzione mia e dei Carabinieri, voleva ricreare un rapporto tra le imprese e senza che potesse riprodursi l’effetto DI PIETRO, così da consentire alle imprese ( ormai tutte senza una lira) di riprendere il cammino produttivo. Comunicai l’impegno dell’interlocutore- ambasciatore a rispondermi entro martedì al capitano DE DONNO. Questa comunicazione avvenne il sabato. Contestualmente comunicai al capitano che il mio avvocato mi aveva detto che stava per essere emesso nei miei confronti il divieto di espatrio. Mezz’ora dopo questo colloquio venivo arrestato.

P. S:

A questo punto, alle ore 12.20 si allontana per sopraggiunte esigenze professionali l’avv. Giorgio GHIRON.

Anzi si dà atto che prima dell’allontanamento dell’avv. GHIRON l’Ufficio comunica a Vito CIANCIMINO il proposito di formulare domande a precisazione ed integrazione delle dichiarazioni spontanee appena rese, nonché il proposito di formulare domande a proposito degli omicidi DALLA CHIESA, LA TORRE e MATTARELLA.

Tanto nell’ottica del verbale del 10/ 03/ 1993 laddove lo stesso Vito CIANCIMINO e il suo difensore avevano fatto riferimento a “collaborazione rilevante ai sensi di legge”.

In particolare l’Ufficio chiede al signor CIANCIMINO di fare il nome dell’interlocutore intermediario. Il CIANCIMINO chiede ed ottiene un breve colloquio con il suo difensore. All’esito del colloquio suddetto il CIANCIMINO dichiara: il nome della persona con cui ho parlato è il dott. Antonino CINA’, che ho visto due volte, in occasione del mio contatto di settembre e poi di dicembre.

A questo punto l’avv. GHIRON si allontana. Rimane in sua sostituzione l’avv. DE SANTIS.