Da bambina le mani avevano il dono della grazia, i maestri d’arte della scuola primaria di Khmelnitski- città industriale nell’ovest dell’Ucraina nota per l’omonima centrale nucleare- l’avevano capito subito.

Aveva appena otto anni, frequentava già i corsi di disegno e pittura dell’accademia Nikosh, di solito riservata agli adulti ed era così brava che la parrocchia locale l’aveva “reclutata” per dipingere gli interni della chiesa. Lei era contenta, poteva accedere a parti della cappella vietate alle donne, poi amava lo stile sobrio dei santuari ortodossi, l’uso misurato del colore, il clima pio che si respirava in quei luoghi di culto. Sembrava destinata a una vita molto diversa Oksana Shachko, fondatrice del movimento Femen, agitatrice politica, artista, pittrice e anarchica, morta suicida a soli 31 anni in un modesto bilocale alla periferia di Parigi.

Il senso, estremo per il tragico, era però già racchiuso nel carattere introverso e dalle infatuazioni brucianti. Come quando a 12 anni si sente divorata dal richiamo della fede e vuole diventare monaca, entrare in convento per sposare Dio. Le sue scelte saranno di segno diametralmente opposto ma avranno in comune, la passione quasi accecante per un’idea da seguire ad ogni prezzo.

L’adolescenza è uno choc: Oksana scopre il maschilismo, l’omofobia, il razzismo ancora molto diffusi nell’est Europa. Ce l’ha con la sua famiglia, ce l’ha con la Chiesa, ce l’ha con il potere. Idee belle e confuse ma allo stesso tempo molto chiare. All’università libera di Khmelnitski segue le lezioni di filosofia, e si infatua dell’azione politica: si definisce «una militante femminista che si batte per la libertà di espressione». Vuole cambiare il mondo e in quegli anni ( è il 2007) il mondo sta cambiando davvero; la rivoluzione tecnologica allarga le frontiere della propa- ganda politica oltre i suoi limiti, il terreno di battaglia principale diventa la comunicazione, la capacità di creare interesse mediatico attorno a una lotta. Così nasce Femen, che in primo luogo è un metodo come spiega lei stessa: «Femen è un modo di manifestare le proprie idee di lotta contro il patriarcato e il sessimo, qualsiasi donna di qualsiasi paese che aderisce a questo metodo è una Femen».

Il gruppo che più ha ispirato Oksana è il collettivo italiano Luther Blisset e le sue tecniche di sabotagio e guerriglia- marketing e con l’idea, così vicina al suo carattere schivo, che un miltante deve restare anonimo, che la politica non deve servire alla gloria personale. Alimentato da questo strano miscuglio di iconoclastia orientale e intellettualismo politico occidentale Femen compie le sue prime azioni scandalose, i flash mob a seno nudo per contestare le autorità religiose e politiche, le tv e i siti web di tutto il mondo che le sbattono in prima pagina. In pochissimo tempo le ragazze di Femen diventano una celebrità planetaria e si fanno molti nemici. Il principale si chiama Vladimir Putin, più volte bersaglio delle loro conestazioni. Nel 2011, nel corso una manifestazione in Bielorusssia contro il presidente- satrapo Alexandr Lukashenko, un fedelissimo del Cremlino, Okasna viene rapita dai servizi di sicurezza. Assieme ad alcune sue compagne viene portata in una foresta a pochi chilometri da Minsk, le cospargono di benzina minacciando di dar loro fuoco. Se la caveranno con qualche livido e con un trauma profondo. Le va peggio l’anno successivo in Ucraina, il suo paese: nel corso di una visita ufficiale di Putin viene sequestrata da un commando di ignoti che stavolta la picchiano per bene, tanto bene da finire due settimane in ospedale. Gli ematomi scompaiono in fretta, non le ferite piscologiche. Nel 2014 chiede ed ottiene l’asilo politico alla Francia e lascia Femen. La ospita Apolonia Breuil, una pittrice che da anni accoglie rifugiati politici e che la introduce negli ambienti delle gallerie d’arte di Parigi. Oksana torna alla sua passione originale, la pittura. Anche se inizialmente è circondata dallo scetticismo la sua bravura chiude in fretta molte bocche. Espone alla galleria Mansard: i soggetti delle sue opere sono volutamente provocatori, allegorici e anticlericali ma non gratuitamente kitsch: «Era una vera artista che padroneggiava perfettamente le principali tecniche di pittura», racconta il proprietario Azad Asifovich, uno degli ultimi ad averla vista in vita. Il successo non la arricchisce, al contrario Oksana fatica ad arrivare a fine mese, vive in una banlieue e non frequenta certo i circoli chiusdella rive gauche. Poi i fantasmi, la depressione, lo spirito anarchico e libertario che si tramuta in nichilismo, in disinteresse per il futuro. E la lettera con cui si è congedata dal mondo: «Siete tutti fake», quasi a sottolineare la perdita di senso della sua vita e quella rabbia primordiale che non l’ha mai abandonata.

Ad annunciare la sua morte martedì scorso è stata Inna Shevchenko, l’attuale leader di Femen, ma le due donne non si amavano, anzi, non si rivolgevano la parola da anni, Okasna aveva lasciato il movimento proprio per dei dissidi profondi con la Shevchenko che reputava troppo politicista e vanitosa, troppo alla ricerca dell’esposizione mediatica fine a se stessa.

Ma anche per una gestione ai limiti del mafioso del movimento; quando Oksana se ne andò in aperta polemica con la dirigenza il giorno dopo il suo appartamento viene devastato da sconosciuti. Alla sede parigina di Femen era inevece considerata persona non grata, di fatto non poteva più metterci piede. «Le violenze subite in Ucraina e Bielorussia e il tradimento delle sue amiche di Femen le hanno lasciato cicatrici profonde», dice tra le lacrime Apollonia Breuil che voleva bene a Oksana come a una sorella e che non si darà mai pace per non aver compreso in tempo il suo dolore.