Ma lo spoil- system, il potere che la legge assegna di avvicendare i vertici pubblici più importanti, è la garanzia di alternanza nei centri nevralgici del potere, oppure è la bramosia di occupare le poltrone? Bella domanda. Assai meno attraente della risposta, se non altro per il semplice fatto che non c’è nessuno che intenda fornirla: meglio sostituire con qualche blitz mirato, e buonanotte. Dopo gli attacchi congiunti di Luigi Di Maio e Giovanni Tria al numero uno dell’Inps, Tito Boeri, reo di aver fornito sul decreto dignità stime e valutazioni «privi di basi scientifiche», il sospetto è che la gara all’impallinamento dei grand commis - o «mandarini» come li apostrofò sarcasticamente Matteo Renzi da palazzo Chigi, per significare che la questione non nasce certo oggi - è cominciata: e sarà una battaglia senza prigionieri.

La prime avvisaglie si erano avute con la visita del sottosegretario all’Economia, la Cinquestelle Laura Castelli, al presidente dell’Istat, Giorgio Alleva. Visita terminata con un comunciato della Castelli nel quale si sottolineava l’esigenza di instaurare «le necessarie sinergie» per il raggiungimento degli obiettivi del contratto di governo. Sinergie? Quali sinergie, saltò su la portavoce del capo della Commissione Ue, Jean- Claude Junker: «Il diritto europeo stabilisce che gli istituti nazionali di statistica sono totalmente e pienamente indipendenti». Capito?

Poi è stata la volta di Matteo Salvini che ha sparato alzo zero contro Boeri e quel suo «solo gli immigrati possono garantire le pensioni future». Rivolto a chi vuole annullare la Fornero è suonata come una provocazione. A proposito: per Boeri la cancellazione dellificate” la Fornero e la “quota 100” comporta una voragine per i conti pubblici. Perciò come sopra: capito?

E adesso la “manine” sul decreto dignità, che per Di Maio è l’equivalente della legge sulle pensioni per Salvini: il cuore degli impegni presi con gli italiani. Vuoi vedere che c’è chi boicotta e lo fa al riparo delle guerentigie che l’incarico gli assicura? «Io penso che Boeri si dovrebbe dimettere», taglia corto Salvini. «Basta che me lo dica il presidente del Consiglio», replica velenoso il titolare dell’Inps. Stop così? Macché. Nel tritacarne finisce addirittura il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco: anche lui, secondo le accuse, reo di aver colorato di nero le previsioni occupazionali del decreto dignità con la perdita di circa 8000 contratti: altro che lotta al precariato... Apriti cielo. Fonti “quatibili del M5S sibilano che «bisogna far pulizia alla Ragioneria generale dove c’è bisogno di persone di fiducia e non di vipere». Smentite? No, grazie. E perciò per la terza e ( per ora) ultima volta: capito? Arriviamo al dunque. Che la politica cerchi di arruolare tecnici è cosa nota. Che i tecnici considerino i politici degli arruffoni attenti a soddisfare esigenze elettoralistiche anche a costo di sacrificare i conti pubblici, è altrettranto noto. Quel che invece si tende a sottacere è che i politici con tecnici addomesticati solitamente producono disastri, e che i tecnici che invadono il terreno della politica ottengono risultati simili.

E’ evidente che uno Stato democratico non può fare a meno di persone qualificate che abbiano reputazione e autorevolezza e possano agire in autonomia. Altrettanto evidente è che chi ha ottenuto un mandato dai cittadini abbia il diritto di perseguirlo circondandosi di persone di fiducia. Il discrimine, appunto, è che non ci devono essere collusioni e sconfinamenti. In Francia c’è l’Ena che fa germogliare la “meglio gioventù” burocratica che poi diventa classe dirigente: Emmanuel Macron viene di lì. Da noi è il Consiglio di Stato la riserva cui premier e ministri attingono per le loro esigenze amministrative. Interessanti dati contenuti in un report commissionato da alcune aziende multinazionali e reso noto dal Foglio. Dal 2006 al governo Renzi, i capi di gabinetti e degli uffici legislativi di tutti i ministeri, palazzo Chigi compreso, sono stati di provenienza per il 22,1 per cento dal Consiglio di Stato; per il 16 per cento da funzionari della PA; per l’ 11,4 per cento da magistrati ordinari; per l’ 8 da magistrati del Tar del Lazio e per il 7,5 sempre dal Tar ma non laziale; per il 7,4 dalla Corte dei Conti; per il 6,8 da avvocati di Stato. Un ventaglio piuttosto sgranato, che forse è solamente un’altra faccia dello spoil- system: più vicina ad meccanismi di tipo lottizzatorio.

Resta che politici e burocrati, a maggior ragione se di alto livello, si sono sempre guardati in cagnesco. E che da noi non esistano strutture o meccanismi che permettano rotazioni al riparo di effetti bandwagon. La forza d’urto che la maggioranza M5S- Lega può mettere in campo è enorme. Ma se alla fine il risultato fosse che il Paese si ritrovasse con meno indipendenza e più correità ai vertici di alcuni degli enti pubblici più importanti, sarebbe difficile considerarlo un progresso.