«C’ è un governo che ipotizza intrerventi pericolosi. Va cercato il dialogo naturalmente, ma deve svolgersi in condizioni di parità. E in una fase tanto delicata, compito dell’avvocatura è promuovere l’aggregazione di tutte le componenti della magistratura, della società e della stessa politica determinate nella tutela dei diritti». È il l’architrave della proposta di Renato Borzone, candidato alla presidenza dell’Ucpi.

Avvocato Borzone, se non altro il confronto sui diritti si è fatto così aspro che il ruolo dell’avvocatura ne viene naturalmente rafforzato.

Possiamo consolarci con questo, in effetti. Ma il quadro non è rassicurante. È vero che l’avvocatura può diventare punto di riferimento e aggregazione per tutte le forze liberaldemocratiche naturalmente schierate in difesa delle garanzie. Ma il fatto che i diritti siano sotto attacco è fuori discussione. E non è il caso di rifugiarsi in minimizzazioni del tipo “l’attuale maggioranza è più inesperta che determinata ridurre le garanzie”. Non mi pare ci sia spazio per interpretazioni folcloristiche. L’Unione Camere penali, di intesa con il Cnf e con altre associazioni dell’avvocatura, deve diventare un fattore di aggregazione sui principi inderogabili.

Il ministro della Giustizia intende condurre uno studio sulla prescrizione prima di procedere all’ipotizzato blocco dopo la sentenza di primo grado. Se fosse presidente delle Camere penali, invierebbe un dossier o assumerebbe altre iniziative?

Di dossier a via Arenula ce ne sono già. La giunta Dominioni ne produsse uno chiarissimo, in cui si dimostrava come l’estinzione dei reati si verifichi per la stragrande maggioranza dei casi nella fase delle indagini. La nostra posizione è chiara: i termini di prescrizione sono diventati lunghissimi già con la riforma Orlando. Non è pensabile che il cittadino paghi per la lentezza delle indagini e che, con la prescrizione cancellata in fase d’appello, resti stritolato tra l’inefficienza della macchina giudiziaria e la pretesa di tenerlo in scacco per una vita. D’altra parte temo che dietro l’idea di uno studio si celi una volontà già definita, legata a una posizione di principio del ministro. A noi avvocati tocca riaffermare un principio opposto, e inderogabile: la prescrizione è un baluardo del diritto. Poi siamo pronti a confrontarci, ma sia chiaro: in condizioni di parità. Su un intervento del genere è giusto che si parli direttamente col ministro.

I rapporti tra Anm e avvocatura sembravano migliorati, ora il presidente Minisci propone a Bonafede la reformatio in peius: cosa è successo?

Primo: il dialogo con la magistratura va assolutamente perseguito. Secondo: nella linea scelta in questi ultimi tempi riappare quella parte di magistratura che tende al dialogo solo quando il rapporto con gli avvocati è funzionale a interessi propri, e che vi si sottrae se mira a risultati incompatibili con i nostri princìpi. Credo si debba convincere l’altra componente, maggioritaria, della magistratura che ci troviamo di fronte a una china pericolosa, e che scongiurarla non è interesse dei magistrati o degli avvocati ma è necessario per preservare le garanzie.

Sulle intercettazioni il confronto ci sarà, assicura il guardasigilli: visto che Anm e Ucpi concordano nell’eliminare di divieto di trascrizione, come si tutela la privacy?

Ci si deve intendere innanzitutto sulla vera devastante conseguenza della pubblicazione arbitraria delle intercettazioni: oltre alla privacy, si lede la presunzione di innocenza. Le fughe di notizie influiscono sul processo, condizionano il giudice. È un fenomeno gravissimo, non sempre compreso, e a volte determinato da una precisa volontà degli organi inquirenti. Si dovrebbe dare innanzitutto efficacia al divieto di pubblicazione degli atti fissato dall’articolo 114 del Codice di procedura penale, non di rado violato dalle stesse Procure. Ma l’altra urgenza riguarda la polizia giudiziaria, che va riportata sotto il controllo dei magistrati. A un recente convegno il pm Giuseppe Cascini ha ammesso che ormai loro, gli inquirenti, non riescono più a controllare la polizia. La quale sa che si fa carriera se si fanno uscire le notizie. È forse la distorsione più grave, da cui nascono gli agghiaccianti video con i marchi dei reparti specializzati, o filmati come quello del furgone di Bossetti.

Bonafede ha spiegato al presidente Cnf Mascherin di voler affrontare il tema del processo mediatico: su cos’altro si può intervenire?

Si dovrebbe obbedire ai richiami dell’Europa, che ancora poche settimane fa ha ricordato gli inquirenti debbano dare le notizie in modo sobrio, sempre nel rispetto del principio di innocenza. Vedo purtroppo una prospettiva ben diversa, che mira alla sostanziale compressione dell’appello, alla riduzione delle garanzie e delle misure alternative nell’esecuzione penale. Io ri- tengo che l’interlocuzione avviata dal Cnf a livello istituzionale sia destinata a essere fruttuosa, sempre a condizione che il dialogo si svolga su un piano di parità. Ma l’avvocatura deve anche costruire un fronte comune con chi vuole prevenire i rischi di fronte ai quali ci troviamo.