Terremoto a Londra, e le scosse potrebbero far cadere la premier May e ripercuotersi anche sull’Europa. Dopo che la primo ministro britannica aveva annunciato di aver trovato l’accordo quadro con l’Europa per il negoziato sulla Brexit, l’ala dura del governo e del partito le si è rivoltata contro e ministri di peso hanno dato dimissioni che sanno di dichiarazione di guerra. Ha cominciato il segretario per la Brexit, David Davis con il suo “numero due” Steve Baker, i quali si sono dimessi in dissenso con la linea della May considerata troppo morbida sui termini dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Proprio nelle ore precedenti infatti Londra aveva annunciato di aver raggiunto l’accordo quadro con Bruxelles per i termini della Brexit.

L’ex ministro ha lasciato il suo incarico sostenendo che la nuova linea politica del governo è troppo arrendevole nei confronti della Ue, con la conferma dell’adesione all’unione doganale con la Ue e al mercato comune europeo, che a suo giudizio comprometterebbero l’intero edificio della Brexit. Ai duri e puri quindi la linea scelta ed esposta appena venerdì non è piaciuta. Theresa May ha provato a correre ai ripari nominando subito il sostituto di David Davis. Si tratta di Domic Raab, già sottosegretario all’edilizia e a sua volta esponente dell’ala euroscettica dei Conservatori, i cosiddetti brexiteer.

Raab è anche membro della commissione per l’Uscita dall’Unione europea della Camera dei Comuni. Ma potrebbe non bastare, e il segno che l’edificio sta crollando arriva con le dimissioni 24 ore dopo del pesce più grosso, che evidentemente ha voluto dare una spinta ai puntelli messi in fretta e furia dalla May: ha lasciato il suo ministero Boris Johnson, ministro degli Esteri ed ex sindaco di Londra, figura di riferimento della destra dei brexiteer. Segno che la ferita è insanabile. Se Davis pensava di lasciare il governo da almeno un mese e se ne è andato con parole di elogio per la May nonostante le divisione sul merito, Johnson invece da sempre pensa ad andare al governo, come premier, ed è evidente che questa mossa è in chiave di politica interna, si tratta cioè di indebolire la stessa May per vedere cosa ne possa seguire prima o poi. Il partito conservatore infatti è molto spaccato, ma non si capisce quali alternative politiche concrete potrebbero avere adesso i tories sostenitori dell’hard Brexit. Bisogna capire se proprio Boris Johnson vorrà provare a sfidare la May all’interno del partito, già nell’immediato. Proprio ieri, in questo clima, la May ha dovuto presentare alla Camera dei Comuni il piano che era stato criticato perché troppo morbido. E non a caso gli apprezzamenti – anche ironici – sono arrivati alla May dall’area la- burista e filo- europea, mentre proprio nelle fila del suo partito si sono visti i malumori peggiori. La May comunque ha difeso la posizione, sottolineando più volte che quello raggiunto era l’accordo per la migliore Brexit possibile, mentre esiste il rischio concreto di arrivare all’uscita dall’Unione senza accordo, con conseguenze gravi per Londra.

«Continueremo a negoziare in buona fede con il primo ministro May e i negoziatori britannici per arrivare a un accordo», ha detto il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, dopo le dimissioni del ministro britannico per la Brexit, David Davis. «Lavoriamo per un accordo e siamo disponibili 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 per contribuire a arrivarci», ha spiegato. Per la portavoce le dimissioni del ministro britannico per la Brexit, David Davis, «non sono un problema per l’Unione europea». Questo però prima che si dimettesse anche Johnson, e al netto da eventuali ripercussioni politiche sulla stessa premier May. Per cui solo i prossimi giorni potranno sciogliere i nodi.