«La più grande operazione degli ultimi 23 anni», come fu definita dal procuratore Nicola Gratteri subito dopo gli arresti, subisce i colpi dei giudici del Riesame e della Cassazione.

Gli ultimi sono quelli assestati con l’annullamento con rinvio dell’ordinanza di custodia cautelare di Giuseppe Farao, 34enne, figlio di Silvio, uno dei capi della cosca, accusato di associazione mafiosa; nonché di quella a carico di Rosario Placido, attualmente ai domiciliari, accusato di associazione finalizzata all’emissione di false fatturazioni con l’aggravante mafiosa.

Decisioni che sono solo le ultime di una serie che interessa, in particolar modo, la posizione di politici ed imprenditori, punto di contatto, secondo l’accusa, tra le cosche del crotonese e la società civile.

L’operazione “Stige” servì infatti a spiegare una tesi ribadita anche ieri dall’inchiesta “Hermes”, che ha portato in carcere 15 persone: l’economia, nel crotonese, è tutt’altro che libera e in mano, per buona parte, ai clan.

Una tesi raccontata associando la Calabria all’inferno, quello rappresentato da uno dei cinque fiumi degli inferi, un «baratro» dove, oltre tutto, «è a rischio la libertà di voto», aveva assicurato l’aggiunto Vincenzo Luberto.

All’alba del 9 gennaio 2018, mille carabinieri svegliarono la provincia di Crotone per mettere le manette ai polsi di 169 persone, tra i quali dieci amministratori pubblici, come il presidente della provincia di Crotone, nonché sindaco di Cirò Marina, Nicodemo Parrilla, eletto, secondo l’accusa, coi voti delle cosche, per le quali si sarebbe messo a disposizione.

Ma il Riesame, un mese dopo, lo spedì ai domiciliari, ritenendo non sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per l’accusa di associazione mafiosa. Ma assieme a lui furono decine gli imprenditori arrestati e portati in carcere, con sequestri di beni e di decine di aziende per 50 milioni di euro.

Un’indagine, dunque, che sanciva l’incapacità del territorio di avviare forme di economia legale. «Le cosche - aveva spiegato Gratteri controllavano il respiro, il battito cardiaco di tutte le attività commerciali». La sua, ha chiarito, è una «guerra» per «liberare la Calabria», irrimediabilmente infettata dal morbo della ‘ ndrangheta. Ed è partito da quell’inchiesta, «da portare nelle scuole di magistratura per spiegare come si fa un’indagine per 416 bis». La bontà delle accuse, ovviamente, sarà provata dal processo. Ma oggi gli arresti di quasi tutti gli imprenditori coinvolti sono stati annullati, in parte, dal Tribunale del Riesame e dalla la VI Sezione della Cassazione, che sta accogliendo - in alcuni casi con rinvio - quasi tutti i ricorsi degli imprenditori e dei politici, circa una trentina. Non solo: il Riesame, in funzione di giudice dell’appello, ha accolto le istanze di revoca dei difensori basate su fatti nuovi, rivedendo la sua posizione per altri imprenditori.

È il caso, ad esempio, di Franco Gigliotti, per il quale il Tdl ha riqualificato l’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa in concorso esterno, decidendone la liberazione. Per la Dda dietro la sua azienda G- Plast, a Torretta di Crucoli, in realtà ci sarebbe stato Giuseppe Spagnolo, esponente del clan Farao- Marincola.

Ma l’imprenditore, hanno dimostrato gli avvocati, delle cosche era in realtà una vittima. Altro caso quello di Pasquale Malena, accusato di associazione mafiosa, illecita concorrenza con violenza o minaccia e intestazione fittizia aggravata dalla finalità di agevolare i clan, per il quale il Riesame ha revocato la misura per «assenza di gravi indizi».

Ma i casi sono molteplici: come quello di Nicola Flotta, accusato di concorso esterno ma rimesso in libertà, titolare del “Castello Flotta”, location per matrimoni sfarzosi - che lo aveva portato fino al programma “Il boss delle cerimonie” - nella quale avrebbe organizzato banchetti gratis per sodali e familiari del clan Farao- Marincola. Per Valentino Zito, socio amministratore dell’omonima casa vinicola, la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del Riesame, che gli aveva concesso i domiciliari confermato l’accusa di concorso esterno.

È tornato libero, invece, Amodio Caputo, per il quale il Tdl aveva riqualificato l’accusa in intestazione fittizia di beni aggravata dalla finalità di agevolare il clan, in quanto ritenuto gestore, assieme al padre, per conto della cosca, di imprese che monopolizzano con metodi mafiosi il mercato dei prodotti semilavorati per pizza in Calabria ed in Germania.

Ma i legali hanno dimostrato che quelle aziende erano state realizzate con l’impiego di denaro e mezzi provenienti dalla famiglia. C’è poi l’imprenditore, Domenico Alessio, residente negli Stati Uniti da decenni, ma che aveva deciso di avviare un’attività imprenditoriale in Italia. Impresa, in realtà, non ancora attivata e per la quale non risulterebbe da nessuna parte, dunque, l’assunzione di personale, né il pagamento di «un monte stipendiale elevato per gli accoscati, per come riportato nell’ordinanza custodiale e posto a fondamento della stessa». E per scoprirlo, dicono gli avvocati, sarebbe bastato «acquisire la documentazione della società italiana, peraltro pubblica».