Concetta Grillo, per tutti Cochita, è testimone di una vicenda rara eppure destinata a ripetersi: è giudice presso un Tribunale, quello di Caltagirone, che annovera in servizio solo magistrate. Solo donne. Incluse la presidente Giovanna Scibilia e lei, che è presidente di sezione. «Costituiamo, credo, un caso unico tra tutti i Tribunali d’Italia. Ma in magistratura la percentuale di donne è destinata a diventare maggioritaria. E visto che esiste un diritto a diventare madri anche per chi è giudice o pubblico ministero, credo che il prossimo Csm debba occuparsi di provvedimenti rivolti a preservare quel diritto senza scaricarlo sulla funzionalità degli uffici: a partire dal rafforzamento, negli organici, dei magistrati distrettuali, che assolvono la funzione di rimediare alle vacanze causate, per esempio, dalle maternità». Proposta inserita nella piattaforma di Unicost e, in particolare, della giudice indicata dal gruppo centrista in Sicilia. Grillo ha della giustizia un’idea di servizio ai cittadini che richiede una svolta impegnativa per lo stesso Csm: «Ritrovare il giusto spazio per l’effettività della giurisdizione. Che vuol dire riconsiderare l’equilibrio tra la tempistica e la qualità della decisione. Noi magistrati non dobbiamo pretendere di poter scrivere sentenze che siano trattati di diritto, ma certo di poter dedicare al singolo caso la giusta attenzione, in modo che la tutela dei diritti sia reale e non piegata a logiche di mero efficientismo».

Anche il vicepresidente Legnini ha messo in guardia dal rischio di “torsioni prestazionali”: il prossimo Csm riuscirà a scongiurare questo slittamento?

Credo che il segnale di una maggiore tutela della decisione sia necessario, anche in sede valutativa. E credo sia la strada attraverso cui riportare nei colleghi più giovani anche la fiducia nei confronti dell’associazionismo. Un certo malessere che attraversa le nuove generazioni e che si riverbera anche nel distacco dalla vita associativa è legato innanzitutto alle condizioni di lavoro. Migliorarle vuol dire ritrovare lo spazio vitale per salvare, appunto, la giurisdizione da derive produttivistiche.

Il malessere assomiglia all’onda dell’antipolitica?

Tra le nuove leve la disaffezione c’è, ed è preoccupante. Il Consiglio su- periore deve ritrovare una sintonia e una vicinanza a questi colleghi, certo. Ma la critica all’organo di autogoverno non è sempre del tutto giustificata. Criticità ce ne sono sempre state. Mettere tutto in discussione è pericoloso: vorrei non ci si dimenticasse di quale patrimonio rappresenti il nostro Csm, un sistema di governo autonomo che credo ci invidino in molti Paesi.

Non dappertutto i Csm hanno le stesse prerogative?

Noi non solo eleggiamo i nostri rappresentanti, ma possiamo contare sul fatto che da questi stessi colleghi è formata anche la sezione disciplinare. Abbiamo il privilegio di poter scegliere chi dovrà giudicare eventuali ipotesi di illecito disciplinare. Mi pare la più alta espressione possibile dall’autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario. Sostenere che l’autogoverno sia del tutto inefficace vuol dire aprire la strada a pericolosissime modifiche della sua struttura.

A chi chiede il ritorno all’anzianità come criterio per la scelta dei capi, cosa risponde Unicost?

Ci siamo confrontati e abbiamo ritenuto imprescindibile un punto: al criterio della mera anzianità di servizio senza demerito non si torna. Io sono in magistratura da trent’anni, ho fatto in tempo a trovarmi con capi scelti esclusivamente in base all’anzianità. Erano figure spesso inavvicinabili, chiuse nella loro funzione gerarchica, non di rado prive di attitudine all’organizzazione, mostrata invece da colleghi meno anziani ma destinati a cedere il passo. Certo, si possono codificare meglio alcuni dei parametri inseriti nel Testo unico per l’attribuzione degli incarichi. Va perfezionato e curato soprattutto il giudizio comparativo, snodo determinante nel nuovo sistema. Il nuovo Consiglio dovrà certamente individuare le soluzioni più adatte a superare le criticità da tutti riconsciute, come è consueto fare quando entrano in vigore nuove norme che necessitino di opzioni inerpretative. Vorrei anche ricordare che il Testo unico messo a punto in quest’ultima consiliatura era diventato un’urgenza: dopo l’abolizione del criterio dell’anzianità, le scelte del Csm erano finite in uno spazio discrezionale indefinito. Serve un affinamento, e l’affermazione di un principio generale.

A cosa si riferisce?

Gli affinamenti devono assicurare il giusto equilibrio tra la valorizzazione di alcuni incarichi e l’unica anzianità a cui è giusto guardare, quella funzionale. Riguardo ai primi, mi riferisco in particolare all’esperienza nei Consigli giudiziari, che mette il magistrato in contatto con le scelte organizzative. Il principio generale a cui mi riferisco, invece, è quello della ricerca di una assoluta eticità nella condotta del Consiglio. Il mandato va interpretato con il massimo rigore. Ma per aderirvi, non c’è bisogno di modificare reiteramente le norme quando le stesse non vengono applicate correttamente.

La magistratura è l’ultima élites sopravvissuta alla crisi delle classi dirigenti?

Devo dire che c’è un ripiegamento, rispetto alla capacità mostrata in un passato anche recente di affermarsi come soggetto interlocutore della società civile. Ma non è questo che va ritrovato, piuttosto quello spazio per tutelare i diritti e officiare funzioni statuali quando non esercitate da altri. Colleghi coraggiosi, nei decenni addietro, hanno personificato una magistratura ordinatrice dl diritto: penso alle conquiste ottenute grazie ai pretori del lavoro negli anni Settanta, o alle sentenze che hanno definito categorie inesplorate dalla legislazione come l’anatocismo bancario o il danno non patrimoniale. Più tempo per la qualità della giurisdizione consente di tornare anche a questo contributo civile.

Un’ultima cosa. Lei chiede di preservare la maternità delle magistrate senza indebolire l’efficienza: come giudica la legge sul legittimo impedimento dell’avvocata in gravidanza?

Ho un marito avvocato, sono ben sensibile alle esigenze dell’avvocatura e dico che era del tutto anacronistico vedere avvocate col pancione perché non potevano assentarsi dall’udienza, nonostante l’efficacia dei protocolli adottati in tanti uffici. Era da tempo che la stessa professione forense doveva farsi carico del problema e la norma da poco introdotta è un sollievo.