Il migliore esempio di democrazia diretta non viene da Atene o dalla Svizzera, ma bensì da una striscia satirica di qualche decennio fa, in cui un gruppo di primitivi delegava ai propri leader, scelti a caso, anche la decisione sui giorni della settimana: all’estrazione del terzo giovedì consecutivo, si registrò qualche mugugno, tuttavia, rapidamente assorbito. Non siamo a questi livelli in Italia, ma sulla buona strada. Un paio di settimane fa il tema era l’uscita dall’euro, poi le clausole di salvaguardia, oggi la crisi dei migranti, domani le aperture dei negozi nei giorni festivi, dopodomani i vaccini. Giunti alla metà di luglio chissenefrega, poi agosto ( chiunque tu sia non ti conosco), fino alla sveglia di fine ricreazione all’inizio di settembre, quando bisognerà dire cosa s’intende fare con i conti pubblici e metterlo per iscritto. Saranno dolori, ma ne abbiamo già parlato. Ora vediamo qualcosa sul tema dell’immigrazione, provando a sfuggire a considerazioni troppo polarizzate e oscillanti tra gli approcci emergenziali e quelli umanitari- caritatevoli.

Sul tema, ci pare si possano fermare un paio di punti. Intanto, la Convenzione di Dublino va modificata. I Paesi che si oppongono a ogni ricollocamento dei migranti invocando il “pacta sunt servanda” dimenticano che il principio vale a condizione del “rebus sic stantibus” e della “bona fides”: le cose sono cambiate radicalmente dalla sua entrata in vigore nel 1997 e la buona fede pare abusata, data l’oscura - e talvolta criminale gestione dei traffici migratori.

Bisogna farsene una ragione: viceversa, anche la nobile propensione a esportare democrazia e libertà, è destinata ad avvizzire. In secondo luogo, la questione migratoria è strutturale e potrebbe assumere dimensioni crescenti, rendendo definitivamente impossibile una gestione nazionale e sovranista del problema.

L’esperienza dell’ultimo decennio insegna che, anche in Italia, sono stati trascurati due fattori d’importanza cruciale che hanno influenzato la rappresentazione pubblica dei fenomeni migratori.

Il primo è connesso all’approccio meramente economicista/ statistico che spesso si rinviene nei documenti degli organismi internazionali, che valuta l’immigrazione sotto un profilo esclusivamente utilitaristico: in che misura gli immigrati servono/ non servono, compensano/ non compensano il declino demografico, garantiscono/ non garantiscono il mantenimento dell’equilibrio pensionistico e così via. Quasi si trattasse di androidi creati per specifiche finalità, privi di quel mix di credo religioso, tradizioni, usi e costumi che si definisce “cultura” di un popolo. L’altra faccia ( fallimentare) di questa medaglia ( fallimentare) è l’abbraccio del multiculturalismo, che sorvola sul fatto che la suddetta cultura di alcuni o molti migranti è spesso assai distante rispetto a quella del Paese di accoglienza. Ciò può comportare, come di fatto accaduto da molte parti, non l’integrazione, ma la separazione, configurando “società semiautonome” ( D. Murray) caratterizzate da insanabili fratture sociali anche in aperto conflitto con i valori occidentali. Queste isole non possono essere accettate.

Il secondo fattore riguarda l’inefficienza amministrativa del nostro Paese, che crea un’estesa area grigia all’interno della quale si collocano varie attività irregolari ( lavoro nero, mancato rispetto di nome igienico- sanitarie, contraffazione, abusivismo commerciale e così via) nelle quali sono quasi sempre coinvolti immigrati che, o non sono stati adeguatamente assistiti pur avendone titolo/ diritto o non sono stati allontanati/ espulsi dal territorio con tempestività e che dunque si adattano a sopravvivere in situazioni di permanente marginalità.

La combinazione di questi due fattori accresce enormemente presso l’opinione pubblica la percezione di pericolosità dei flussi migratori.

Infine, la materia, di per sé complessa, viene sistematicamente complicata dalla gestione intergovernativa dei flussi migratori sul piano europeo. Gestione intergovernativa vuole dire che ciascuno stato membro di tanto in tanto decide come gli pare, appena trovi sponda in qualche altro partner, per di più utilizzando gli accordi di Schengen in modo flessibile, se non capriccioso.

Suggerimento per il prossimo Consiglio Europeo di fine giugno: creazione di un dipartimento europeo per l’immigrazione. Una volta definiti i suoi compiti attraverso un’ampia discussione parlamentare - tassonomia dei migranti, procedure di prima accoglienza, ricollocazioni e rimpatri - esso decide a prescindere dai volubili desideri dei singoli stati. Al medesimo dipartimento verrebbe assegnata la responsabilità delle frontiere esterne, potenziandone le risorse e le attività attraverso un bilancio autonomo, alimentato direttamente da una tassazione trasparente in capo ai cittadini europei ( così che ciascuno abbia contezza dei costi dell’azione). Gli stati che non si adeguano verrebbero penalizzati economicamente, con procedure proporzionali, semplici e rapide.

Per quanto riguarda l’Italia, è necessario accrescere l’integrazione tra amministrazione centrale e amministrazioni locali sul controllo dell’ordine pubblico e la repressione dei reati di criminalità predatoria e di quelli connessi ad attività che favoriscono e sono espressione di comportamenti antisociali da parte degli immigrati clandestini, responsabili del diffuso, istintivo, comprensibile sentimento di paura che accompagna le valutazioni sul merito dell’accoglienza.

Sinteticamente ( e banalmente): se vogliamo essere più buoni con il prossimo, dobbiamo essere più severi con chiunque trasgredisca le leggi ( e viceversa). Non ci pare esistano altre soluzioni.

* UFFICIO STUDI CONFCOMMERCIO