Di fronte ai danni d’immagine, a dir poco, procurati ai grillini dalle disavventure giudiziarie di quel fiore all’occhiello che consideravano l’avvocato genovese Luca Lanzarone, premiato - parola di Luigi Di Maio - con la presidenza dell’Acea per le prove di competenza e di affidabilità date con la gestione del progetto di uno stadio romanista a Tor di Valle, Marco Travaglio si è irrigidito nel suo vantato giustizialismo. Eppure sembrava, lì per lì, che fosse stato tentato dal ricorso a modiche quantità di garantismo all’ombra della cosiddetta presunzione di non colpevolezza, assicurata dalla Costituzione a indagati e imputati sino a condanna definitiva.

Credo che sia costato al direttore del Fatto Quotidiano trattenersi dall’abitudine di storpiare il nome al malcapitato di turno, chiamando per esempio Lazzarone l’uomo finito agli arresti domiciliari per i suoi rapporti col costruttore romano Luca Parnasi, tradotto invece in carcere con l’accusa di associazione a delinquere e altro. Ma non è detto che prima o dopo non tocchi anche all’ex presidente dell’Acea il sarcasmo della manipolazione anagrafica, che è un po’ un supplemento di pena per chi incorre nella penna, o nel computer, del più severo fustigatore, credo, impegnato in Italia fra la sua redazione e i salotti televisivi che se lo contendono.

Non ha rasserenato Travaglio neppure il soccorso fornito ai vertici grillini, ora anche di governo, dal sindaco pentastellato di Livorno Filippo Nogarin. Che in una intervista proprio al Fatto Quotidiano si è assunta da solo la responsabilità di avere “scoperto”, in una selezione accuratissima al capezzale dell’azienda comunale della nettezza urbana, l’avvocato genovese presentandolo poi a Beppe Grillo, a Casaleggio figlio e forse anche padre, a Luigi Di Maio, ad Alfonso Bonafede e a Riccardo Fraccaro, in quei tempi alle prese con le disavventure amministrative della loro collega di partito Virginia Raggi fra le pareti e sotto gli stucchi del Campidoglio. Essi ne erano diventati i consiglieri e persino i “commissari”, secondo titoli di giornale che non rimediavano uno straccio di smentita e indusse ingenui e sprovveduti come noi, al Dubbio, a simpatizzare o quasi per una donna che sembrava sotto assedio.

Troppo facile prendersela, deve aver pensato Travaglio, con quello sprovveduto o sfortunato di Nogarin. O con «la mancanza - ha scritto lo stesso direttore del Fatto Quotidiano di una classe dirigente affidabile» fra i grillini e con la loro «disinvoltura nella scelta dei collaboratori». Se anche uno come Luca Lanzarone arriva a Roma con l’aureola del mago, dell’incorruttibile e di non so che altro e finisce “in affari” come ha detto in televisione Travaglio - con palazzinari e faccendieri, attratti forse più dalla sua influenza nel partito emergente di Grillo che dalle sue qualità professionali di avvocato e poi anche di amministratore, vuol dire che c’è ormai, nella Capitale ma forse anche altrove, «l’inquinamento endemico e sistemico della società civile».

Così ha scritto, testualmente, Travaglio nell’editoriale di domenica scorsa a commento dell’intervista di Nogarin e, più in generale, della vicenda giudiziaria esplosa tra i piedi e le mani del partito in festa per essere andato al governo, sia pure nella scomoda compagnia dei leghisti. Ai quali notoriamente quelli del Fatto Quotidiano avrebbero preferito il Pd, possibilmente derenzizzato ma all’occorrenza anche con Matteo Renzi ancora nella cabina di regia, se l’ex segretario ne avesse avuta la voglia.

L’apocalittico annuncio della morte della “società civile”, o della sua irrimediabile crisi, lascia francamente senza fiato. Che ne sarà mai, a questo punto, della povera Italia? Il giustizialismo al minuto, applicato a questo o a quel caso, secondo le convenienze, non basta più. Il giustizialismo va venduto e praticato all’ingrosso. Per la società civile non ci potranno mai essere posti a sufficienza nelle carceri e nelle aule dei tribunali. Non per niente già da tempo i processi mediatici hanno preso il posto di quelli odiosamente normali e troppo lunghi anche per i cultori della gogna, oltre che per gli imputati. Anche la società civile è diventata una parolaccia, o qualcosa di simile. Ma un po’, diciamo la verità, essa se l’è cercata, sin da quando, negli anni di Tangentopoli e delle indagini enfaticamente chiamate Mani pulite, si lasciò e si sentì rappresentata dai cortei che sfilavano in magliette sotto le finestre delle Procure incitando i magistrati che vi lavoravano a farli “sognare” col gioco sinistro delle manette.