Il Pd è in marcia. Sì ma quale dei tanti Pd? Di sicuro è “en marche” il Pd di Renzi. Dopo l’ultima assemblea vissuta non proprio benissimo, l’ex premier e segretario dimissionario avrebbe infatti deciso di mollare gli ormeggi per imbarcarsi verso il partito che ( ancora) non c’è. Il progetto è ambizioso: raggruppare le truppe sbandate del Pd e di Fi per costruire una nuova forza liberal- riformista. Renzi, che ha ancora in mente il 40 per cento incassato alle Europee del 2014 ( un 40 per cento replicato nel mai elaborato referendum del 4 dicembre), ha gà fissato la data. Anzi tre: il 19, 20 e 21 ottobre 2018; e il luogo di battesimo che, naturalmente, sarà la Leopolda. Certo, ieri il portavoce Marco Agnoletti ha smentito tutto: «Non è vero che Renzi sta pensando a un altro partito», come scritto dal Foglio. Ma poi Democratica, voce autorevole del renzismo, ha chiosato: «Che fra i dem vi sia anche chi guarda oltre il Pd non è un mistero...».

Ma al di là dei progetti renziani, c’è anche un altro pezzo di Pd pronto a partire, ed è quello che si va compattando intorno a Carlo Calenda. Anche il ministro dello sviluppo economico è convinto di aver le carte in regola per interpretare il ruolo del Macron italiano. Calenda sa l’alfabeto di Confindustria ma sa parlare anche nelle calde assemblee dei lavoratori. E ieri ha chiesto agli industriali riuniti in assise di non cedere alla seduzione delle sirene populiste e sovraniste: «L’interesse nazionale non si difende con gli slogan ma con il lavoro e con la presenza nei luoghi dove si decide e soprattutto con la consapevolezza che la nostra appartenenza all’Europa». Una dichiarazione che, paradossalmente, contiene alme- no due degli slogan del futuro movimento di Calenda: “Europa e lavoro”. Poi c’è il terzo Pd, quello di Franceschini e Orlando. Ecco, quest’ultimo è in attesa della partenza senza ritorno di Renzi e Calenda per provare a rimettere in piedi una nuova “cosa rosa” che i detrattori vedono irrimediabilmente ormeggiata al ‘ 900. Insomma, una cosa ormai sembra chiara: nessuno vuole più il Pd. Forse solo il povero Martina. E infine, fuori dal partitone in dismissione, ci sono i liberali guidati da Marco Taradash, che hanno un sogno: conquistare l’area liberal di Pd e Fi per rilanciare l’impresa.

Ma la battaglia non riguarda solo i nuovi “partiti” ma anche i futuri premier del centrosinistra. E i nomi sul tavolo al momento sono tre: l’economista Enrico Giovannini, il re delle spending review Carlo Cottarelli e il segretario dei metalmeccanici della Cisl Marco Bentivogli. Nomi intorno ai quali i “tre Pd” cercheranno di costruire la propria missione col rischio però di venirne fagocitati. Tra i renziani è infatti sempre più forte la spinta per trovare nuove leadership che permettano di uscire dal pantano e lanciare il nuovo progetto. E così i nuovi Macron rischiano di essere surclassati dalla necessità di ritrovare un outsider con un profilo più radicato nel lavoro, e che sappia unire la parte più avanzata del cattolicesimo democratico, la sinistra liberale e l’area liberal democratica. La caccia è aperta.