Giseppe Conte sale al Quirinale per ricevere l’incarico di costituire il governo. Lega e M5S incarnano la nuova maggioranza sovranista- populista e prevalgono. E adesso che succede? Marco Follini rimugina tra sè qualche minuto. Poi spiega. «L’Italia rischia il suo posto nel mondo. Assistiamo ad un’onda populista e antisistema che sta sommergendo il Paese. A cavallo di quest’onda oggi sono Di Maio e Salvini: domani potranno essere altri. Chi cavalca quest’onda può facilmente esserne travolto. Ma allo stato l’onda sprigiona ancora oggi una forza che fa impressione, che fa paura.

Un’onda tuttavia che fa dell’Italia un’anomalia in Europa. Un’onda che può essere contagiosa e che spinge le Cancellerie del continente a continui ammonimenti verso il nostro Paese. Hanno ragione o fanno il gioco dei populisti?

Dobbiamo avere ben chiaro un dato. La crisi è globale ed epocale. Nasce in tutto il mondo, o almeno nella parte di mondo che siamo più abituati a frequentare. Nasce, da un lato, dalla rottura del nesso tra democrazia e sviluppo; dall’altro dalla rottura del nesso tra democrazia ed equità. Queste due caratteristiche, che nel dopoguerra hanno rappresentato altrettanti punti di forza dell’Occidente, stanno venendo meno un po’ dappertutto. Nel mondo si affermano altri modelli, e noi ci troviamo ad arrancare. L’Italia non è più nel gruppo di testa, e non siamo più confortati dalla garanzia di disporre della ricetta vincente.

Le chiedevo dell’Italia...

Ci arrivo subito. A tutto questo, che insisto è epocale e globale, noi di nostro abbiamo aggiunto il malvezzo, chiamiamolo così, di recitare una sorta di populismo di Palazzo.

In pratica che significa? Che chi doveva difendere le istituzioni ha remato contro?

Per me significa una cosa chiara: che la classe dirigente italiana ha invitato a bombardare il quartier generale. E oggi si trova sotto gli effetti di quel bombardamento, evocato con irresponsabile leggerezza e che ha prodotto conseguenze disastrose.

Scusi, con chi ce l’ha esattamente? Il malvezzo dell’antipolitica, per usare la sua espressione, è in voga da almeno 25 anni. Berlusconi è stato il primo a farsene portabandiera...

Infatti l’onda a cui mi riferisco è così possente proprio perché risente di un accumulo di errori ed equivoci che si sono sedimentati l’uno sull’altro in un largo arco di tempo. Ma proprio per questo, illudersi che le difficoltà che in qusto momento vivono i populisti, sovranisti o come vogliamo chiamarli riportino il pendolo al punto di partenza e ci restituiscano la nostra virtù e la nostra possibilità di gioco, è piuttosto ingenuo.

D’accordo, è ingenuo. E allora cosa bisogna fare? Secondo lei come si può contrastare il fenomeno popu-lista sovranista? Qual è la strategia giusta: costruire un’arca che imbarchi tutti gli scontenti a vario titolo, e veleggi verso la Terra Promessa?

Per me occorre tentare di fare esattamente il contrario. Ragioniamo sugli ultimi vent’anni. I due principali esperimenti politici che sono stati tentati - FI da un lato e Pd dall’altro - sono stati imperniati sull’idea della mescolanza. Abbiamo progressivamente assottigliato, sbiadito e alla fine cancellato le culture politiche da cui ognuno di noi proveniva. Così, passo dopo passo, abbiamo cancellato anche noi stessi e il nostro significato. Di conseguenza, io penso che oggi la cosa più urgente e importante da fare è riprendere in mano, ciascuno di noi, il filo della propria identità.

Come, concretamente? Quelle culture non rischiano di essersi ossificate?

Ovviamente sono identità da rinnovare, non da imbalsamare. Tuttavia sta in quel modo di procedere l’errore di questi anni, e da lì bisogna cercare di porre rimedio. Si tratta di culture che si devono aggiornare sicuramente, ma che sicuramente non si improvvisano. La cronaca di queste ultime settimane ha messo a confronto i quarant’anni dalla scomparsa di Aldo Moro, con tutta una serie di riflessioni su quella stagione politica; e a qualche giorno di distanza il curriculum del professor Conte. Come dire: la Bibbia e Topolino.

E questo che significa?

Per me che è più facile che nel tempo lungo restino le cose che hanno una maggiore consistenza. E che quindi dobbiamo provvedere a dare ai nostri ragionamenti politici una maggiore autenticità, quella che è mancata fin qui.

insisto: concretamente come si fa? Si ricostruiscono tanti partiti quante sono le culture storiche: un partito liberale, uno socialista, la Dc...

Io penso che ognuno di noi si debba presentare alla propria coscienza e alla pubblica opinione vestendo i panni che gli sono propri. E dunque i liberali con i liberali, i socialisti con i socialisti, i popolari con i popolari: ciascuno sotto le sue bandiere. La fatica maggiore è quella di essere noi stessi: ma è una fatica liberatoria. Per anni ci siamo come travestiti in mille modi: alla fine di noi non è rimasto nulla, neppure quel travestimento. Ora si tratta non di guidare eserciti o di fondare imperi bensì semplicemente di essere sè stessi.

FI e Pd si sono imperniati sulla bontà e importanza della leadership. Bisogna tornare indietro anche da quella?

Ci si può dedicare a coltivare la leadership quando le strutture dello Stato sono robuste. Noi abbiamo il problema opposto. Abbiamo uno Stato debole, strutture politiche traballanti e abbiamo pensato di surrogare tutto questo dando vigore e carattere alla leadership. Abbiamo visto che non funziona, tant’è che il tempo di consumazione del leader si è drammaticamente abbreviato. Il tempo della delusione per Berlusconi si è potuto contare in qualche anno, con Renzi si è ristretto a qualche mese. In questa consumazione della leadership c’è il segnale che pure in questo caso si è imboccata la strada sbagliata. Tutto si tiene. Leadership costruite su un’idea piramidale di sè stessi, sulla cancellazione delle memorie e sulla scimmiottatura del populismo non hanno funzionato. Come pure non portano lontano le sovranità muscolari e velleitarie alla Salvini. Bisogna cercare altro. Forse è nascosto proprio nella nostra storia.