Ieri cadeva il trentesimo anniversario della morte di Giorgio Almirante. Un leader politico della prima repubblica di grande spessore ( con un passato, però, molto cupo, nella repubblica sociale di Mussolini). Almirante era un vero reaziona- rio. Un reazionario colto e intelligente, ma un reazionario. Giustizialista fino al profondo dell’anima. Era per la pena di morte, per lo Stato etico, per le punizioni esemplari. Combatté la sua battaglia, di estrema destra, con dignità, ma in una condizione di assoluta emarginazione politica. Era fuori da quello che allora si chiamava l’arco costituzionale, e cioè lo schieramento di tutti i partiti, dal partito liberale al partito comunista e anche alle formazioni dell’estrema sinistra. Tutti tranne il Msi. Ed era disprezzato dagli intellettuali, dagli artisti, dai giornalisti, dalla società per bene.

Ancora oggi, trent’anni dopo la sua morte, si vedono chiari i segni della sua emarginazione: giornali e Tv si sono soffermati assai poco sull’anniversario.

Almirante ha degli eredi? Sicuramente non ne ha per quel che riguarda la sua dottrina, che era dichiaratamente e orgogliosamente fascista e mussoliniana. Però quel giustizialismo aspro ed “etico”, che era il suo giustizialismo, di eredi ne può contare parecchi nella società italiana di oggi.

Ha trasmigrato, e da fenomeno anticonformista e minoritario è diventato quasi un sentimento, una divisa, di chi respinge il Palazzo e vuole “pulizia”.

Mi è tornato in mente Almirante leggendo l’editoriale di ieri di Marco Travaglio sul “Fatto”. La retorica da “guer- riero per la giustizia” riprende molti dei temi del vecchio leader del Msi. Non la pena di morte, che ormai è un’idea che in Europa non ha più cittadinanza, però le parole d’ordine sono simili, ed espresse senza diplomazia. Non mi riferisco tanto alla prima parte dell’articolo, nel quale Travaglio invoca espulsioni per gli irregolari e sposa la tradizionale cultura leghista, che non è una novità ( però è una novità per Travaglio). Ma alla parte finale del suo editoriale, nel quale illustra lucidamente la linea politica che lui vorrebbe imporre al nuovo governo. Scrive: « Per la prima volta l’agenda del governo si ribalta, nelle priorità e nel linguaggio. Il contratto gialloverde... non ha paura di parlare di più carcere e più carceri, meno prescrizioni, pene più severe e più certe... più mezzi a chi i reati li deve scoprire e punire, meno garanzie per chi commette i reati e più garanzie per chi li denuncia e li subisce. I puristi... del sesso degli angeli e del giudiziariamente corretto storcono il naso con argomenti triti e ritriti... Dei loro slogan i cittadini si infischiano: se vedranno qualche delinquente a spasso in meno, qualche irregolare espulso in più... saranno felici e grati al governo ( e noi con loro)».

L’articolo si conclude con questo pensiero ( che vuole essere anche una indicazione per la maggioranza “penta- leghista”): « Se non riusciranno, per i vincoli di bilancio, a fare le riforme costose... potranno essere perdonati. Ma se non manterranno gli impegni…. come quelli sulla giustizia, non avranno scuse. E saranno puniti ».

Traduciamo questo ragionamento. Dice Travaglio, rivolgendosi al partito che ha sempre sostenuto, e cioè i 5 Stelle, e al nuovo partito amico, cioè la Lega: lasciate perdere Fornero, reddito di cittadinanza e flat tax, che sono impossibili perché troppo costosi, e concentratevi sulla realizzazione di una autentica stretta autoritaria che trasformi la macchina giudiziaria in quello che deve essere: la macchina perfetta sognata da Davigo, capace di far coincidere sospetto e colpevolezza, di azzerare i pastrocchi della difesa, e capace di aumentare di cento volte sia il numero dei colpevoli sia gli anni di galera.

Chiaro che resta la speranza che i due partiti ai quali Travaglio si rivolge non lo ascoltino e taglino i ponti con lui, cercando di indirizzare il nuovo governo gialloverde verso un percorso di legalità democratica. Però è chiaro che il linguaggio e le aspirazioni che Travaglio esprime ormai sono sdoganate, e rappresentano il punto di vista di settori molto ampi della società. L’almirantismo è meno sofisticato di quello di Almirante, ma più vasto, più popolare.