I giorni della forte irritazione con Matteo Salvini sono passati. Non perché ora le cose vadano meglio. E’ sceso il gelo tra Arcore e Via Bellerio. Silvio Berlusconi, dopo essersi messo fuori dall’eventuale governo giallo- verde lasciandolo così partire, con un via libera che suona più che una resa una sfida vera e propria a Salvini, sta a guardare.

E’ vero: l’alleanza di centrodestra non si rompe, formalmente c’è, assicura il Cav che però sembra relegarla solo a livello locale quando nel comunicato dell’altra sera parla delle tante giunte amministrate insieme al Nord. Ma dall’altra sera sembra essere iniziata un’altra storia. E dentro Forza Italia si dice chiaro e tondo: «Salvini ora non può più essere definito il leader del centrodestra perché non parla più per conto anche di Forza Italia in quanto lui è il leader di minoranza di un eventuale governo con i grillini».

Il punto più basso dei rapporti con l’alleato per Silvio Berlusconi è stato lo scorso lunedì mattina quando Salvini dopo aver accettato pubblicamente a nome della coalizione dopo le consultazioni al Quirinale di chiedere l’incarico per un governo di centrodestra di minoranza obbligato ad andare a cercare i voti in parlamento, un attimo dopo si è riunito con Luigi Di Maio con il quale ha proposto un ritorno al voto l’ 8 di luglio. Ora per Forza Italia, che, come ha detto Berlu- sconi «non può certamente votare la fiducia» a un governo con i Cinque Stelle, si apre la fase delle mani libere. E quindi, come ha annunciato il Cav, valuterà come votare provvedimento per provvedimento. Insomma, ci potrebbero essere dei sì se si tratta di cose «che stanno nel programma del centrodestra e sono utili agli italiani», ma anche dei no se si tratta del contra- rio. “Mani libere”, dice testualmente il portavoce unico dei gruppi parlamentari Giorgio Mulè, ex direttore di Panorama, uomo molto vicino a Berlusconi. E, osserva la deputata azzurra Renata Polverini, «Fi non sarà uno spettatore passivo». Mariastella Gelmini, capogruppo di Fi alla Camera, comunque ribadisce: «Non voteremo la fiducia». Ora se questo si tradurrà con un voto contrario vero e proprio o con un’astensione costruttiva o un’uscita dall’aula lo si vedrà. Tutto dipende dai programmi e naturalmente da chi sarà il premier dell’esecutivo giallo- verde. Se nascerà. Come cautamente, ieri pomeriggio ha detto lo stesso Salvini. Mulè sottolinea il «comportamento da statista avuto ancora una volta del presidente Berlusconi». E con Il Dubbio aggiunge: «Berlusconi si è dimostrato il miglior amico del presidente Mattarella. Perché non si è messo di traverso per far nascere un governo, mentre altri come quelli del Pd fischiettavano. E ha cercato così di impedire agli italiani, alle imprese l’avventura di trascinarli ancora una volta al voto, d’estate». Mulè esclude, come aveva già fatto Berlusconi, che «Fi sia in cerca di poltrone».

Perché «non è mai partita alcuna trattativa», era scritto nella nota da Arcore l’altra sera. Ora se nascerà il governo giallo- verde è atteso alla prova dell’aula. Alla Camera quanto ai numeri potrà navigare in acque tranquille. Al Senato invece un po’ meno, perché sarebbero solo 6 o al massimo 8 i voti in più che potrebbe avere quell’esecutivo. E proprio a Palazzo Madama Forza Italia potrebbe giocare davvero un ruolo da ago della bilancia. E molto dipenderà anche dall’atteggiamento di Fratelli d’Italia sui quali è gravato un veto di Di Maio ancora peggiore di quello posto a Berlusconi, sul quale anzi il capo pentastellato all’ultimo aveva ammorbidito i toni. Mentre Fratelli d’Italia dal capo politico dei Cinque Stelle non sono stati neppure nominati. Giorgia Meloni, presidente di FdI, pianta ferrei paletti: «La nostra scelta non può prescindere da chi sarà il presidente del Consiglio».

Poi Meloni pone tre no e tre sì: «No alla patrimoniale e a qualsiasi introduzione di nuove tasse; no allo ius soli; no all’adozione da parte di coppie dello stesso sesso: sì alla flat tax; sì al blocco dell’immigrazione; sì a destinare il 50 per cento di investimenti a nuove infrastrutture al Sud». Ma il punto è come ha messo in rilievo l’altra sera Berlusconi la difficoltà per «forze politiche così diverse» di trovare possibilità di accordi.

Da qui la sua sfida: provateci se ci riuscite. Come dire: provate un po’ a mettere insieme la richiesta di riduzione delle tasse che vuole il Nord e il reddito di cittadinanza con il quale i Cinque Stelle hanno sfondato al Sud. «Finora abbiamo visto due giovani leader litigare come due galli nel pollaio», chiosa un po’ perfidamente ma realisticamente l’azzurra Mara Carfagna, vicepresidente della Camera. E intanto monta la rabbia soprattutto dei forzisti del Sud che spingono perché Fi voti direttamente contro, senza alcuna astensione alla fiducia. Linea dura che però si contrappone con quella dei forzisti del Nord attratti dalle sirene leghiste che vogliono l’astensione. Anzi, «astensione benevola», come ha detto Giovanni Toti, ritenuto il capofila dei forzisti filoleghisti. Ma ribatte il vicecapogruppo vicario al Senato di Fi Lucio Malan: «Berlusconi non ha mai parlato di astensione benevola». E anzi si avvia verso le mani libere. he non significa giocarsela solo sul piano numerico, visto che Fi almeno alla Camera non è determinante, ma soprattutto sul piano di un nuovo corso politico. Quale non è ancora dato saperlo. A margine della cerimonia del Premio Guido Carli, alla domanda se Berlusconi abbia fatto bene a scegliere la linea della non ostilità Fedele Confalonieri risponde a mezza bocca: «Non mi intendo di queste cose, ma Silvio è stato ottimo». Gianni Letta si limita a dire: «Giorni difficili, auguri per quello che ci attende». Secondo i gossip di Palazzo il patron di Mediaset sarebbe più propenso all’astensione, mentre Letta per il voto contrario.