Presentato l’esposto al Consiglio superiore della magistratura per portare alla sua attenzione il comportamento tenuto dal Tribunale di Sorveglianza di Roma nei confronti di Angelo Di Marco, incarcerato e poi deceduto a causa della sua malattia, nonostante presentasse gravi patologie incompatibili con il regime carcerario. Parliamo di una vicenda già affrontata da Il Dubbio.

Aveva 58 anni Angelo, ma ne dimostrava molti di più. Un romano che faceva una vita ai margini, dedito a piccoli reati e soffriva di diverse patologie epatiche, compresa la cirrosi, che gli avevano compromesso anche il cuore. Era talmente grave che, secondo una relazione medica del Sert di Rebibbia datata 8/ 3/ 2016, le sue condizioni risultavano «mediocri, suscettibili di peggioramento e non compatibili con il regime carcerario». Da novembre scorso era detenuto nel carcere romano di Rebibbia per scontare una pena di poco meno di un anno, ma il tribunale di sorveglianza non solo ha vietato la concessione dell’affidamento in prova ( visto che parliamo di una condanna inferiore ai 3 anni), ha anche ritenuto che fosse compatibile con la carcerazione. L’ 11 febbraio si è sentito male, vomitava tantissimo sangue e solo a quel punto è stato ricoverato d’urgenza nell’ospedale Sandro Pertini. In codice rosso, operato di urgenza, l’hanno salvato in extremis, ma dopo qualche giorno il cuore ha smesso di battere ed è morto.

Ma come mai questo esposto al Csm firmato da Alberto Di Marco, il fratello di Angelo, dall’avvocata Simona Filippi e dal presidente di Antigone Patrizio Gonnella? Nella segnalazione viene offerto un quadro completo dove emerge un mancato accertamento delle condizioni di salute da parte del tribunale di sorveglianza. A maggio dell’anno scorso, Di Marco viene raggiunto da un Ordine di esecuzione della complessiva pena di un anno e 11 mesi di reclusione. Nel rispetto dei termini di legge, Di Marco presentò un’istanza volta alla concessione delle misure alternative alla pena per gravi motivi di sa- lute. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma fissò l’ udienza a ottobre del 2017. La sorveglianza chiese alla Questura di Roma di acquisire informazioni in merito all’idoneità del domicilio indicato e alla pericolosità sociale di Angelo. La Questura si attivò e trasmise un dettagliato rapporto in cui veniva evidenziato, tra l’altro, che Di Marco, alla luce delle sue condizioni di salute, usufruiva della pensione di invalidità civile. Inoltre, la Questura specificò che Di Marco aveva riferito di essere portatore di “patologie invalidanti” e che in merito aveva già prodotto nel passato la relativa documentazione. Alla luce di queste informazioni, “in ragione delle condizioni di salute dell’istante”, la Questura concluse per il riconoscimento della concessione della misura della detenzione domiciliare. Nonostante ciò «il tribunale di sorveglianza - si legge nell’esposto - decise per il rigetto dell’istanza limitandosi ad evidenziare, con riferimento specifico alle condizioni di salute dell’istante, che nessuno atto era presente». In definitiva, a fronte dell’istanza di differimento della pena per gravi motivi di salute avanzata da Di Marco, il Tribunale ha rigettato l’istanza «non procedendo - viene denunciato nell’esposto al Csm - ad alcuna accertamento sulle condizioni di salute dell’istante». Quello di Angelo Di Marco non è un caso clamoroso. È successo tante altre volte, e tante altre volte è passato sotto silenzio. Ora bisogna attendere l’esito. Se il Csm intraprenderà un provvedimento disciplinare nei confronti del magistrato di sorveglianza, forse si potrebbero evitare in futuro dei casi simili dove si rigetta con troppa facilità l’istanza di scarcerazione per incompatibilità carceraria. Che sia un Di Marco o un Dell’Utri.