«Per me è difficile parlare ora, sto rivivendo tutto quello che è successo il 29 dicembre. Posso solo dire che sono contenta per il risultato ottenuto dalle forze dell’ordine». Sono poche le parole che l’avvocato Adriana Quattropani riesce a pronunciare dopo l’arresto degli autori dell’attentato ai suoi danni, consumato a fine 2017. La Dda di Catania ha ammanettato ieri Giuseppe ( alias “Peppe Marcuottu”), Simone e Andrea Vizzini ( finito ai domiciliari), di 54, 29 e 24 anni, mentre nella tarda mattinata si è costituito Giovanni Aprile, 40 anni. Persone ritenute dagli inquirenti vicine al clan Giuliano – attivo nel territorio di Pachino e Portopalo di Capo Passero – e che avrebbero maturato propositi di vendetta nei confronti dell’avvocato per il suo ruolo di curatore fallimentare. Quattropani, infatti, aveva appena consegnato al nuovo proprietario una stazione di servizio precedentemente gestita dalla moglie di Giuseppe Vizzini, Franca Corvo, quando una bomba carta venne fatta esplodere sotto la sua automobile. Una tragedia sfiorata, considerando che la professionista si trovava poco distante, in un bar. «Ormai siamo sempre più lasciati allo sbaraglio. Siamo soli. I magistrati sono tutelati, noi invece, per non perdere il lavoro, siamo esposti a situazioni del ge- nere. Ma ho sentito molta vicinanza. Questa volta penso che le cose si smuoveranno», aveva detto al Dubbio subito dopo l’attentato. Una frase alla quale ieri Quattropani ha ripensato, ammette ancora scossa.

L’indagine che ha portato agli arresti di ieri è partita proprio dall’attentato all’avvocato ma anche dalle minacce subite dalla stessa a febbraio 2017, quando Giuseppe Vizzini le avrebbe chieste se avesse dei figli, facendo cenno alla morte del cognato in un regolamento di conti. All’uomo viene dunque contestato anche il reato di minaccia e violenza a pubblico ufficiale aggravato dalle modalità mafiose. Secondo le indagini, lo scopo dell’intimidazione era quello di interrompere l’iter per l’apposizione dei sigilli al distributore Esso precedentemente in mano alla famiglia. Le telecamere di videosorveglianza in piazza Indipendenza hanno inquadrato Simone Vizzini prendere un accendino acquistato poco prima da Giovanni Aprile, per poi piazzare l’ordigno sotto l’auto dell’avvocatessa, facendolo esplodere. Subito dopo ha consegnato al fratello Andrea, che faceva da palo, la felpa che indossava al momento dell’attentato. Aprile avrebbe anche pedinato la donna, nelle fasi precedenti, a bordo di una Bmw.

Secondo quanto reso noto dalla Dda, i legami degli indagati con il clan Giuliano ed il boss Salvatore Giuliano e la sussistenza di rapporti imprenditoriali sono supportati da dati di fatto: il figlio di Giuliano e quello di Vizzini, infatti, sono i due titolari dell’impresa agricola “La Fenice” attiva dal 2013 nel settore della produzione ortofrutticola. Un’azienda esclusa dal Consorzio Igp di Pachino e poi distrutta da un incendio dopo l’ultima inchiesta del giornalista Paolo Borrometi per l’Agi, a marzo scorso. Le indagini hanno chiarito anche il proposito di vendetta da parte di Salvatore Giuliano, che avrebbe dato ordine di uccidere Borrometi. Un’escalation di minacce iniziata nel 2013, con il danneggiamento della sua auto, sulla cui fiancata venne incisa la scritta “Stai attento”, passando per l’aggressione fisica, nel 2014, quando gli venne fratturata una spalla, il fuoco alla porta dell’abitazione di famiglia e la scritta davanti casa: “Borrometi sei morto”. L’ultima prova in una conversazione intercettata il 20 febbraio scorso, quando Vizzini commentava con i figli le parole di Giuliano, «il quale, forte dei suoi legami con i Cappello di Catania, per eliminare lo scomodo giornalista stava per organizzare un’eclatante azione omicidiaria». «Succederà l’inferno – si sente dire a Vizzini –. Mattanza per tutti e se ne vanno. Scendono una decina, una cinquina, cinque, sei catanesi, macchine rubate (....) Bum, a terra! Devi colpire a questo, bum, a terra! Ogni tanto un murticeddu vedi che serve, c’è bisogno, così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli, tutti i mafiosi, malati di mafia!».