Franco Lo Voi, procuratore di Palermo, descrive la scena: «Oggi ho due postazioni disponibili, in ufficio: i difensori che vogliono ascoltare i brani intercettati possono usarle senza problemi, hanno il materiale cartaceo che fa da guida. Ma dal 12 luglio i brogliacci non ci saranno più, per il 90 per cento dei brani, e dovranno attaccarsi agli auricolari senza poter estrarre copia. Che faccio, do disposizioni per garantire il rispetto del divieto? Metto telecamere?

E perché dovrei farlo io?

Serve una direttiva, non una miriade di circolari diverse». Applausi. E poi l’affondo che merita di essere messo in cornice: «L’imputato che sa di essere innocente ha il pieno diritto di poter individuare, attraverso il proprio avvocato, l’intercettazione in cui eventualmente si dimostri la sua innocenza.

Ma dico di più. L’imputato che sa di essere colpevole ha il diritto di cercare senza problemi, nel materiale captato, una comunicazione che autorizzi un dubbio, e ha il diritto di utilizzarla nel processo». I penalisti, centinaia, che ascoltano in sala si guardano con uno stupore che sfiora la commozione. Un magistrato inquirente, il capo di una delle più importanti Procure d’Italia, che parla di verità processuale distinta dalla verità storica: il principio che con ostinata determinazione i penalisti cercano di affermare da sempre. Un dibattito così andrebbe fatto ascoltare a chi discetta di diritto penale dopo essersi limitato a guardare un talk show in seconda serata.