Una pena prolungata nonostante sia già scontata, poche concessioni rispetto ai detenuti stessi, misure di sicurezza che risalgono al codice Rocco che ha come impronta il retaggio fascista che considera il lavoro come misura correzionale. Parliamo ancora degli internati, gli ultimi degli ultimi. Con l’articolo di ieri de Il Dubbio abbiamo affrontato in generale la figura dell’internato e il fenomeno del cosiddetto doppio binario risalente al codice Rocco. Le misure di sicurezza sono da aggiornare, renderle costituzionali, o ancora meglio superate. Il governo, purtroppo, non ha approvato il testo della riforma dell’ordinamento penitenziario che riguarda la parte dedicata alle misure di sicurezza. Quindi non ha introdotto nessuna modifica per la vita detentiva ( anche se in teoria non lo è) degli internati. Tranne, però, una piccola novità che è comunque importante. A spiegare a Il Dubbio questa modifica è Laura Longo - candidata di Potere al Popolo alle scorse elezioni e che è intervenuta alla recente assemblea del Partito Radicale sul superamento dell’ergastolo ostativo e il 41 bis – che è stata stimatissima magistrata di sorveglianza per oltre 20 anni. Si dedicò in maniera particolare proprio alle condizioni degli internati. Fu grazie a lei, dopo una difficilissima battaglia di legalità, che si riuscì a far trasferire in una casa circondariale di Vasto, degli internati ristretti nel carcere duro di Sulmona. Sì, perché nel 2010 si suicidarono diversi internati nel super carcere. La sezione era denominata proprio “reparto internati” e formalmente era una casa lavoro pensata proprio per queste persone che, appunto, pur avendo terminato di scontare la pena, non vengono rimessi in libertà in quanto ritenuti “socialmente pericolosi”. In realtà era un luogo di disperazione, dove gli “internati” restano rinchiusi per mesi e anni senza far nulla e senza “fine pena” certo. Persone che non capivano il senso della restrizione visto che avevano già finito di scontare gli anni. «La riforma di cui si spera si darà attuazione – spiega Laura Longo a Il Dubbio - non ha introdotto nessuna novità per gli internati se non quella, certamente molto importante, della revoca della misura di sicurezza in caso di declaratoria di estinzione pena per esito positivo dell’affida- in prova». Laura Longo ci tiene a sottolineare che si tratta di «una innovazione che potrà evitare la tragedia di chi pur se ha concluso la pena con un percorso risocializzante positivo, si trova esposto all’ordine di internamento».

Rimane comunque invariata la figura dell’internato. Lauro Longo ci tiene a precisare che per gli internati «non ci sono misure alternative, neanche l’affidamento terapeutico, ma solo la licenza e la semilibertà». Eppure sono misure alternative importanti e che incidono sulla decisione dei magistrati stessi di prolungare o meno l’internamento. Lo aveva spiegato molto bene sempre Laura Longo quando, da magistrato, scrisse una relazione per un convegno sulle misure di sicurezza, in particolare su quella detentiva della casa di lavoro. Nella relazione spiega che la popolazione degli internati è composta prevalentemente da soggetti deboli, ovvero da persone che commettono crimini legati alla tossicodipendenza e alla doppia diagnosi con problematiche psichiatriche correlate alla tossicodipendenza stessa. «Per il soggetto socialmente debole – si legge nella relazione della dottoressa Longo si evidenzia un rischio maggiore di recidiva, con la conseguenza di reiterate proroghe della misura di sicurezza detentiva, spesso inevitabili, non potendo la magistratura di sorveglianza, in assenza di opportunità esterne di assistenza o cura, addivenire ad un giudizio di cessazione o attenuazione della pericolosità sociale». Per questo motivo, l’internamento protratto nel tempo finisce così per dissolvere l’identità stessa del soggetto e la sua vita di relazione.

«Cosicché – si legge sempre della relazione, in una spirale senza via d’uscita, la nuova condizione di persona destrutturata e ormai priva dei più elementari referenti esterni ( come la famiglia e il domicilio), si pone come ulteriore fattore ostativo alla possibilità di revoca o trasformazione della misura di sicurezza». L’amara conseguenza, quindi, è quella che un magistrato è costretto a emettere un giudizio ( per la revoca dell’internamento o meno) non su elementi riconducibili al soggetto – colpevolezza/ condotta di vita – ma su cause ad esso del tutto estranee. Il problema principale, in sintesi, è la mancanza di dare possibilità all’inmento ternato di percorrere una riabilitazione, quella che poi serve per dare al magistrato uno strumento valido di valutazione. Un pena, quindi, ancora più dura e senza garanzie. Ad esempio, per gli internati tossicodipendenti sottoposti alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro o della colonia agricola, viene concessa solo la semilibertà. «Misura alternativa, questa, spiega Laura Longo - del tutto inadeguata, in quanto il lavoro costituisce per tali soggetti un fattore riabilitativo, solo se inserito in un programma di recupero a carattere multidisciplinare, gestito da comunità terapeutiche o strutture sanitarie specializzate».

n tutto questo, l’unico dato positivo, è quello della decisione della Corte Costituzionale risalente al 2017: in pratica recepisce la giurisprudenza della Cassazione relativa alla nuova legge del 2014 che introduce la durata massima prevista per l’Opg, ora Rems, e la applica anche per le misure di sicurezza presso la Casa Lavoro. Dunque è caduto quell’elemento di indeterminatezza che rischiava di far diventate perenne l’internamento. Resta però la figura dell’internato, privo di garanzie e che, di fatto, subisce una pena detentiva che viene prolungata nel tempo. Pena che va in contrasto con la raccomandazione della Corte europea, ovvero che non si può giustificare l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva solo in ragione della funzione preventiva dalla stessa svolta, se poi di fatto la sua esecuzione non si differenzia da quella di una pena.

Ma funziona la misura di sicurezza? L’ex magistrato Laura Longo dice di no. «La prevenzione ha una finalità ben precisa e una casa lavoro – retaggio del ventennio - non garantisce il recupero sociale di un internato». La Longo fa l’esempio dei soggetti autori di reati di natura sessuale. «Appare inutile la misura di sicurezza della casa di lavoro nei loro confronti – spiega l’ex magistrata, perché anziché l’acquisizione di abilità lavorative, occorrerebbe prevedere interventi trattamentali diversi, di tipo psicoterapeutico, attuabili nel corso della esecuzione della pena od anche, eventualmente, attraverso misure aggiuntive di prevenzione, a carattere non detentivo». La vera soluzione, quindi, non rimane che il superamento dell’attuale misura di sicurezza.