Facebook affonda a Wall Street, insieme alle illusioni di autogoverno della galassia social. Immediatamente dopo la deflagrazione dello scandalo Cambridge Analytica, era stato il Congresso degli Stati Uniti a chiedere al fondatore Mark Zuckerberg di presentarsi a spiegare davanti all’assemblea, ieri è toccato alla Commissione della Camera dei Comuni britannica fare altrettanto. Lo stesso ha fatto l’Ue, con il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che ha invitato il fondatore a presentarsi in aula perchè «chiarisca alla platea dei rappresentanti di 500 milioni di europei che i dati personali non sono stati utilizzati per manipolare la democrazia». Intanto, il Garante per l’informazione del Regno Unito ha annunciato che chiederà un mandato per perquisire la sede della società al centro della bufera e ottenuto da Facebook di allontanare i suoi revisori, che potrebbero danneggiare l’integrità della perquisizione. Facebook è corso ai ripari, lasciando trapelare alla stampa l’allontanamento del suo capo della sicurezza Alex Stamos. «Nonostante le voci, sono pienamente impegnato nel mio lavoro a Facebook. È vero che il mio ruolo è cambiato. Sto attualmente passando più tempo a valutare rischi di sicurezza emergenti e lavorare sulla sicurezza nelle elezioni», si è affrettato a chiarire lui, ma il segnale è chiaro e ineludibile. Del resto, per proporzioni e per esiti, lo scandalo Cambridge Analytica ha la portata di un cataclisma: 50 milioni di profili violati, con conseguente sottrazione di informazioni sensibili poi utilizzate per influenzare le elezioni presidenziali americane, il voto sulla Brexit e altre campagne elettorali.

Cambridge Analytica, infatti, è una società fondata nel 2013 da Robert Mercer, imprenditore statunitense vicino ai conservatori, ed è specializzata nella raccolta di dati sugli utenti dei social, al fine di elaborarle in modelli e algoritmi sulla base di like, commenti e condivisioni. Sulla base di questi, ha sviluppato un sistema di “microtargeting comportamentale”, ovvero una pubblicità personalizzata. I dati - e qui sta la violazione maggiore- sono stati raccolti e utilizzati da Cambridge Analytica in violazione delle regole di Facebook, che tuttavia avrebbe non solo reso involontariamente possibile la raccolta attraverso un sistema di applicazioni, ma di aver successivamente sottovalutato o, nel peggiore dei casi, avallato la cosa. Nel caso dell’elezione di Donald Trump, la società avrebbe organizzato una campagna su larga scala pro- Trump; nel caso della Brexit, l’azienda avrebbe usato i dati assunti in modo improprio per fare propaganda in favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Oltre quindi alla responsabilità di Cambridge Analytica, nel mirino di Usa, Gran Bretagna e Unione Europea ora c’è il ruolo del colosso dei Social: come scrive l’Autorità britannica, si indaga per determinare se Facebook abbia garantito «la sicurezza e la salva- guardia» dei profili dei suoi utenti e se abbia «agito in modo deciso» per trovare i responsabili del «buco».

In questa bufera, l’amministratore delegato e fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, rimane chiuso nel silenzio, ignorando non solo la campagna # DeleteFacebook, ovvero “cancella Facebook” diventata virale sui social, ma anche il crollo del titolo in Borsa che ha mandato in fumo 36 miliardi di dollari di valore del gruppo. Ieri Facebook ha bruciato 5 miliardi di dollari di capitalizzazione, perdendo il 6,8% a Wall Street, ma a Zuckerberg poteva andare peggio, visto che dall’inizio dell’anno ha venduto 5 milioni di azioni della società e si è così risparmiato un danno potenziale di circa 855 milioni di dollari.

A stretto giro, però, la società è corsa ai ripari assumendo la Stroz Friedberg, società specializzata nelle indagini digitali forensi, per verificare se la Cambridge Analytica sia ancora in possesso dei dati che gli aveva chiesto di cancellare. Ieri, poi, si è tenuta una riunione interna al gruppo, aperta a tutti i dipendenti, per permettere loro di fare domande sullo scandalo: la finestra di dialogo, però, è durata solo 30 minuti e da molte parti è stata letta come un modo di Facebook di prendere tempo, in attesa della riunione settimanale di venerdì, nella quale è atteso l’intervento di Zuckerberg.

Del resto, le avvisaglie di guerra sono chiare: da una parte il colosso social che si è appena rivelato meno innocuo di come utenti e Stati credevano, dall’altra le istituzioni statali che puntano a regolamentare in modo più preciso la tutela della privacy on- line. Perchè, nel secolo del web, i dati personali sono il nuovo oro nero.