La riforma del carcere, probabilmente è morta. Ieri il governo avrebbe dovuto varare i decreti attuativi, ma non lo ha fatto. Dal momento in cui dovesse vararli, resterebbero poi dieci giorni alle commissioni parlamentari per prendere atto della decisione del governo e renderla dunque definitiva, anche eventualmente col silenzio- assenso. Ma da oggi alla fine del mandato di questo Parlamento mancano solo nove giorni, e la possibilità che le commissioni si riuniscono di urgenza e diano il via libera prima del 23 marzo, quando si insedierà il nuovo Parlamento, sono una su un milione.

In questo modo il governo ha mandato in fumo un lungo lavoro, iniziato tre anni fa, su impulso di una sentenza della Corte di Strasburgo, la quale stabiliva che il livello di vita nelle nostre carceri è al di sotto del limite minimo della dignità, e dunque inaccettabile e illegale. La riforma del carcere nasce così. E cammina grazie alla spinta della battaglie condotte dall’avvocatura e dal partito radicale. Che pazzia rinunciare alla riforma delle carceri!

La riforma arriva anche a una conclusione, con l’approvazione del Parlamento e la delega al governo ad emanare i decreti attuativi. Delega che il governo non ha rispettato.

Non sappiamo perché non l’abbia rispettata. Se per sciatteria, o per volontà politica, o per paura. Sappiamo che una riforma che avrebbe permesso di ridurre una delle sacche di inciviltà presenti nella società italiana, non ci sarà. E che la riforma della giustizia, amputata dalla parte che riguarda il sistema penitenziario, non sarà certo ricordata come una grande riforma della giustizia. Ieri gli avvocati penalisti hanno scioperato, e sciopereranno anche oggi, per protesta contro questa inadempienza. Anche se pare che i giornali non siano interessatissimi a questo sciopero. Né a questa riforma. Noi non stiamo parlando di una occasione persa. parliamo di una cosa abbastanza più grave: di una scelta sciagurata che con ogni probabilità costringerà l’Italia a convivere per molti anni ancora con una situazione carceraria infame e insopportabile. E probabilmente a subire alcune pesanti e giustissime sanzioni da parte dell’Europa. Anche perché il Parlamento che si insedierà tra nove giorni è un Parlamento a maggioranza 5Stelle- leghista, cioè di due forze che si sono battute strenuamente contro questa riforma, perché ritengono che alleggerire le condizioni del carcere sia un atto criminogeno ( i leghisti, in commissione, alla Camera, hanno definito la riforma una riforma criminale). I leghisti e i 5 stelle ritengono che la lotta per la legalità abbia bisogno di un inasprimento e non di un allentamento della repressione e della filosofia giustizialista. E sono abbastanza disinteressati ai richiami e alle proteste dell’Europa.

A favore della riforma si sono pronunciati, oltre agli avvocati e ai radicali, un discreto numero di intellettuali di formazione e di cultura diversa: liberali, cattolici, esponenti della sinistra. Anche molti magistrati. Ieri, alla manifestazione organizzata dalle Camere penali, ha parlato anche il dottor De Vito, che è il presidente di Magistratura democratica, il quale si è chiesto come mai ci sia una parte della magistratura che si oppone a una misura civilissima com’è la riforma carceraria. Che oltretutto aumenta e non riduce il potere discrezionale della magistratura, e precisamente della magistratura di sorveglianza.

Ma allora ritorniamo alla domanda: perché il governo non ha trovato il tempo o il modo per compiere il piccolo e semplice gesto di licenziare i decreti?

La spiegazione, temo, è semplice: per paura di perdere consensi. Lo stesso risultato elettorale dimostra che stiamo attraversando una fase politica nella quale la maggioranza dell’opinione pubblica è orientata su posizioni giustizialiste o addirittura autoritarie. E il governo ha avuto paura di compiere una scelta in aperto contrasto con questa tendenza. Il problema è che in politica, da alcuni anni, si è celebrato il divorzio tra i due pilastri della democrazia: i principi e il consenso. La politica non vive più di principi ( di idealità, di convinzioni, di tendenze culturali, o morali) attorno ai quali si costruisce il consenso. Si è rovesciato tutto il gioco: la politica è solo ricerca del consenso, il consenso non si aggrega più attorno ai principi ma succede l’inverso: i principi si costruiscono, ex post, attorno al consenso. Gli statisti sono diventati amministratori. I pensatori si sono dati alla macchia.

In queste condizioni si rischia di diventare persino patetici se si continua a far notare che il funzionamento del nostro sistema carcerario è assolutamente incostituzionale. Che si violano gli articoli della Carta e si violano i diritti dell’uomo. Ti rispondono con una risata. Ti dicono in faccia, ghignando: «chiudeteli e in cella e butatte la chiave».

Ieri, alla manifestazione dei penalisti che si è svolta a Roma, è stato presentato il libro dell’ambasciatore Claudio Moreno, intitolato “ Un ambasciatore a Regina Coeli“. Racconta la sua esperienza nel carcere romano, quando fu arrestato innocente - per una storia di tangenti alla quale, dopo 14 anni di sofferenze, è stato proclamato del tutto estraneo. Moreno, nel suo libro, non parla però della infondatezza delle accuse. Racconta semplicemente, ncon passione e con agghiacciante realismo, come si vive in carcere e come la vita carceraria - lo ha detto anche l’ex ministro Flick - non sia compatibile con almeno una decina di articoli della Costituzione, a partire dall’articolo 2, dall’articolo 3, dall’articolo 4. E ora? Ora bisogna solo avere il coraggio di non mollare. Di riprendere il discorso da zero, di ricominciare. Provando a parlare con tutti, anche con quelli che sono arrivati in Parlamento con idee molto lontane dal garantismo. Bisogna spiegargli che non si può difendere la Costituzione solo per fare la lotta a Renzi. Bisogna convincerli che il Diritto è il bene supremo della comunità: il Diritto, non la Punizione. Ne vale la pena. Le prigioni sono il buco nero della nostra civiltà. Non si può restare indifferenti, o rassegnati.

P. S. Alla manifestazione delle Camere penali, che è stata conclusa dal discroso del presidente Migliucci, hanno partecipato molti avvocati, giuristi, magistrati. Politici pochini. C’era solo Rita Bernardini, che in questi anni ha lottato anima e corpo per la riforma, e Renata Polverini, che fa parte di un partito il quale, oltretutto, ha votato contro la riforma. Gli fa onore il suo impegno per i prigionieri. Tutti gli altri? Addirittura paura di farsi vedere?