Un grande sconfitto di queste elezioni è il politicamente corretto. Il linguaggio che nasce per rispettare le cosiddette minoranze suscita rabbia, odio, ironie. Ma se fosse invece una risorsa, ancora valida, per immaginare un mondo diverso?

C’è un altro sconfitto delle ultime elezioni: è il politicamente corretto, considerato dal pensiero dominante che ha vinto le elezioni come il responsabile di molti, se non tutti, i mali che affliggono la nostra società Ma che cosa è il politicamente corretto? È quel linguaggio che dà conto delle cosiddette minoranze e gli riconosce pari dignità anche attraverso le parole. Le donne, i gay, i neri, i migranti in generale sono i soggetti che hanno potuto godere di quest’attenzione che negli anni si è però trasformata in un boomerang. Le accuse che vengono mosse al politicamente corretto sono diverse. C’è quella più diffusa di essere conformista: l’attenzione a un linguaggio che rispetti tutti e tutte ( l’uso del maschile e del femminile è un tipico esempio) rischierebbe di essere dogmatico, ideologico, incapace di sopportare l’ironia, il sarcasmo, il paradosso, addirittura sarebbe incapace di accettare la libertà. C’è poi una seconda accusa altrettanto forte, quella che vede nel politicamente corretto solo una copertura. Inefficaci nel creare un mondo migliore, in cui il rispetto è insito nelle strutture sociali e nei rapporti tra le persone, si userebbe il linguaggio per illudere, sviare, creare un diversivo che sottragga la politica e gli attori sociali da un vero cambiamento.

Ma queste accuse, a ben guardare, sono solo scuse. Il politicamente corretto, che nasce negli Stati Uniti a cavallo tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90, dà fastidio per un altro motivo: mette in scena la complessità, costringe a vedere gli altri in modo diverso, ci spinge a mettere in discussione le nostre categorie. La lingua è di per sé in continuo mutamento: non c’è lingua che non sia capace di farsi attraversare dai mutamenti, dalla storia, dalla cultura. Ed è forse qui che incontriamo l’ostacolo, la sconfitta. Questa volta la lingua ha corso più della società, è andata troppo avanti, troppo veloce, suscitando reazioni di spavento, paura, resistenza. Il mondo che ha messo in scena era troppo avanti rispetto alle dinamiche reali. E non è solo una questione italiana. Sta accadendo ovunque. Il politicamente corretto è osteggiato, sbeffeggiato, messo alla berlina. La sua sconfitta è la sconfitta anche di un progetto di società, di un’idea di mondo che oggi viene respinta.

E’ per questo che prima di dire basta, è finita, e di archiviare il linguaggio che dà conto delle diversità, dovremmo fermarci un attimo e capire come oggi più che mai dovremmo tenerlo vivo, continuare a usarlo come formula magica del rispetto, della considerazione dell’altro, dell’apertura e non della chiusura. L’ipocrisia non deve essere confusa con l’educazione né con il galateo che invece aiutano a comunicare e a dialogare anche con chi non la pensa come noi. Oggi che trionfano l’odio e i muri per fortuna c’è il politicamente corretto.

Dicevamo prima come la lingua cambi insieme alla società, ma è vero anche il contrario. A volte è la lingua a mutare la realtà, a darle forma, una nuova forma. E’ stato spesso compito delle avanguardie artistiche prendersi in carico questo grato compito. Oggi prima di cestinare del tutto un linguaggio attento e corretto, ci dovremmo pensare due volte e ci dovremmo interrogare sul perché tanto odio. Si pensi solo al linguaggio sessuato proposto dall’ex presidente della Camera Laura Boldrini. Ministro e ministra, la presidente e il presidente, lo studente e la studente ( e non la studentessa), il medico e la medica. E così via. Molti ridono, altri protestano, qualcuno vince le elezioni. Ma dietro queste declinazioni c’è la grammatica, ma soprattutto c’è l’idea che al mondo ci sono donne e uomini. E questo, checché ne dicano i detrattori del politicamente corretto, è un fatto incontrovertibile.