“Devono venire tutti a parlare con noi”. “Governo anch’io, no tu no”. “Lui è il leader, ma io sono il regista”, perché Silvio Berlusconi, come al Milan con il suo allenatore, la formazione vuole farla comunque lui. In quest’alba della Terza Repubblica, tutti hanno poche idee. Ma confuse. Noi, però, abbiamo capito 10 cose. O forse no. P.S.: il suddetto articolo è satirico. O forse no. 1. Il Movimento 5 stelle è la rivoluzione, il nuovo che avanza. Anzi no. Ricapitoliamo ciò che è successo in questi giorni: Di Maio scrive a Repubblica, da sempre definito da militanti pentastellati e dirigenti del movimento come uno dei centri d’informazione più corrotti e faziosi. In quella lettera fa intendere, come sta facendo nei corridoi del potere, che per governare servirebbe un inciucio, che un partito intero o parte di esso violasse il vincolo di mandato (che lui invocava, ma fortunatamente nella nostra democrazia non esiste). Nel frattempo su Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, il vate mediatico del verbo grillino, ci dice candidamente (un giorno dopo le elezioni, perché va bene essere a schiena dritta, ma non fessi) che il reddito di cittadinanza non si può fare, non ci sono le coperture (e il Nostro non mente mai giusto? Altrimenti forse dovremmo pensare che lo facesse anche su Renzi e soci). Sembra quasi il Bertinotti di Guzzanti: “Era uno scherrrrrzo!!!!”. E poi a Pesaro, ma non solo, vengono eletti dalla nuova ondata di rinnovamento e honestàh coloro che hanno violato, con rimborsopoli o altro, le stesse regole sacre del movimento. Infine a Roma negano le Olimpiadi, ma a Torino poi le vogliono. Quindi: eleggono disonesti, fanno promesse false, cercano inciuci vari (con la Lega pensano di dividersi le Camere), hanno giornalisti simpatizzanti che danno le notizie quando conviene a loro, fanno figli e figliastri. Insomma, che differenza c’è con quelli che insultano da anni? E con cui ora cercano convergenze più o meno parallele? 2. Inciucio sì, inciucio no, la terra dei cachi. Berlusconi, patto del Nazareno, Italicum, Rosatellum, Alfano, Verdini. Il Pd ha perso voti anche tra i suoi perché inciuciava come un matto per continuare a governare. E veniva insultato amaramente per questo. Ora rifiuta ogni inciucio. E viene insultato ancora più amaramente. Un po’ come quando dopo Mafia Capitale fu l'unico partito a fare un repulisti serio e capillare (salvo poi mettere, sic, la Campana in lista in queste Politiche: è quella degli sms a Buzzi, mai indagata però, va detto) tra le sue fila romane, ma venne etichettato comunque come mafioso. Il Pd è come il tipico maschio italiano: qualsiasi cosa faccia, la propria fidanzata, la moglie e pure l’amante diranno che è sbagliata. Cornuto e mazziato. 3. Le dimissioni a tempo determinato. Che ti aspetti da uno che ha fatto il Jobs Act se non una nuova forma di conclusione di rapporto lavorativo? Il Matteo Renzi più confuso che si ricordi riconosce la sconfitta, dà la colpa agli altri, prova un patetico ultimo tweet domenicale anti 5s e Lega, aspetta quasi un giorno per ammettere la disfatta. Poi se ne va. Anzi no. Dice che le consultazioni le fa lui. Anzi no. Le fa Orfini, il Granduca toscano dice che va a sciare. Fa intendere che Gentiloni è un inciucione - ottima mossa tirare un siluro contro l’unica faccia apprezzata del suo Pd - e si mette in casa Carlo Calenda che a livello social sembra ricalcare il suo mitico #staisereno. Infine dice a tutti (o meglio lo fa il fido Richetti a Piazza Pulita) che ora il Pd farà come la Lombardi con Bersani. Praticamente Matteo è il bambino cicciottello delle elementari che vuole giocare con quelli bravi perché ha portato il pallone. Pure se è bucato. 4. Secessione no, secessione sì, secessione Pd. No, non ci riferiamo alle spinte centrifughe che al Nazareno vedono Emiliano, Orlando e Martina (sono cognomi, fidatevi) su fronti opposti. Piuttosto parliamo di Maria Elena Boschi: perché la secessione è peccato se la vuole Bossi, ma diventa virtuosa se la vuole lei, l’Alto Adige, Bolzano e la Südtiroler Volkspartei. La Lady Macbeth del renzismo ci ha deliziato anche con un manifesto bilingue commovente, nella campagna elettorale in cui dopo aver affondato il Pd con il caso banche ha pensato pure di sparare un siluro sulla Svp costretta ad appoggiare la sua corsa al seggio blindato (da tempo la formazione autonomista dalle sue parti non andava così male): FÜR DIE AUTONOMIE. GEMEINSAM – PER L’AUTONOMIA. INSIEME. Inutile dire che da ministro sosteneva l’abolizione delle regioni a statuto speciale. 5. Anche la politica ha il suo Toto Cotugno. Diciamocelo: da anni il mondo della musica non ha saputo designare un degno erede del Maestro. Il rock non ha più trovato un simbolo altrettanto potente. Parliamo dell’eterno secondo, Toto Cotugno, recentemente celebrato dal Mussolini di Sono Tornato come merita. Ora c’è, e si è dato alla politica. Stefano Parisi, un italiano vero che forse dopo essere stato tradito da Milano e dalla Capitale vorrà andare a vivere in campagna, sembra la Roma di Spalletti e Ranieri: grandi rimonte e epiche vittorie morali, ma sconfitte materiali. Dopo aver recuperato punti a Sala e aver perso, ha non vinto con Zingaretti, pur avendogli dato filo da torcere. Forse a destra dovrebbero davvero affidarsi a Toto Cotugno, visti i rapporti privilegiati con Putin (calò su Sanremo con l’Armata Rossa il compagno Toto). L’autore di versi immortali come “Solo noi, solo noi, prati verdi se vuoi” merita la sua occasione. 6. Il doppio razzismo carpiato. Tony Iwobi, nome da lottatore del cartone animato L’Uomo tigre, è il primo senatore nero della nostra Repubblica. Da 25 anni è iscritto alla Lega ed è il più comune cavallo di Troia che la politica ci ha abituato anche altrove a strumentalizzare. Il suo unico merito è aver sdoganato il politicamente scorretto: i compagni di partito lo chiamano il leghista negher. Il tipo deve piacere anche a Berlusconi perché ha fatto ogni tipo di lavoro, stalliere compreso. Va detto che è simpatico quanto Calderoli e moderato come Borghezio, ma soprattutto non ha mai ravvisato negli insulti del primo a Cecile Kyenge nulla di censurabile. Anche qui, un merito ce l’ha: ci dice che essere nero non ti salva dall'avere gli stessi difetti dei bianchi. E’ riuscito, però, a suscitare un rigurgito di razzismo in altri neri, e qui siamo al top: Mario Balotelli e la stessa Kyenge (la prima deputata di colore) per stigmatizzarlo hanno usato il colore della sua pelle. Sì, sembra Django, lo sappiamo. 7. Le parole sono importanti. E pure le scuole e i precedenti. Coerenza pentastellata, capitolo II. Le tre ministre ombra (Trenta, Giannetakis e Del Re) del M5S, destinate ai dicasteri più importanti, vengono dalla Link Campus University, il cui presidente è Vincenzo Scotti, ex pluriministro Dc e sottosegretario per Berlusconi in tempi più recenti. Salvatore Giuliano, nome evocativo, è destinato all’Istruzione: ha contribuito a scrivere la riforma, insultatissima dai grillini, de “La buona scuola”. Perché la Kasta va bene, se è la tua. Infine l’avv. Conte sarà, tra le altre cose, pure ministro della Meritocrazia. Affascinante per chi porta centinaia di persone con curriculum da operetta in Parlamento. E per chi ha designato come premier uno che come punta massima del curriculum lavorativo ha l’esser stato steward al San Paolo di Napoli. Motivo per cui probabilmente ha dato la lista dei ministri prima: anche nel tempio azzurro le formazioni le danno prima delle partite, mica dopo. 8. Il Pd si è fermato nei salotti, nelle terrazze, nei loft radical chic. E Eboli ci va la Lega (dove prende l8,3%, solo 500 voti meno di Renzi e i suoi). Nelle feste di compleanno della gente che piace Potere al Popolo aveva la maggioranza assoluta, la Bonino era una forza di lotta e di governo, il Pd teneva. Nelle redazioni dei giornali non si sospettava l’esplosione della Lega e si giurava sul declino dei 5S. Alle anteprime teatrali e cinematografiche si guardava con timido realismo a una rivalutazione di Silvio Berlusconi perché gli artisti hanno il cuore a sinistra ma la testa rimane lucida e capiscono prima degli altri cosa succede (anche se spesso si rifiutano di accettarlo). Sulle montagne dei Parioli - ok, diciamo sui tornanti a senso unico del quartiere snob capitolino - sinistra e centrosinistra resistono, a Capalbio soccombono. Anche perché lì i rifugiati ci sono arrivati. Per essere cacciati dal prefetto. Nelle fabbriche a votarli sono rimasti solo i colletti bianchi, fuori al massimo i colletti alla coreana. 9. Lunica legge buona è quella incostituzionale Avete dato tutti la colpa al Rosatellum dell’ingovernabilità. Tutti: eletti, elettori, lettori, letterati. Bene, come dimostra questo pezzo illuminante, nessuna legge elettorale avrebbe dato una maggioranza vera, se non l’Italicum. Osteggiato dal M5S come incostituzionale (tale in effetti è stato giudicato nella parte del secondo turno-ballottaggio), poi divenuto l’obbrobrio Consultellum e infine morto. Il problema non è il sistema elettorale, ma gli elettori che hanno trasformato il nostro panorama politico in un mostro tripartitico. Insultare la legge è demenziale come dare la colpa delle buche di Roma a Virginia Raggi: il fatto che lei non le faccia riparare perché l’importante è fare i bandi mentre noi perdiamo vertebre, cerchioni e senno sulle strade, non vuol dire che l’asfalto impoverito capitolino non sia l’apice di un sistema corruttivo che nulla ha a che fare con questa amministrazione. E’ come divorziare dalla seconda moglie perché la prima ti tradiva e lei, che ancora non c’era, non ha fatto nulla per impedirlo. 10. Meno male che Silvio c’è. La maledizione di Berlusconi Matteo Salvini fa status arroganti in cui elenca, con un bel vino bianco in mano, i suoi nemici. La sua prima lista di proscrizione. Fa il duro, anzi ce l’ha duro. Però, poi, va ad Arcore da Berlusca e famiglia, a prendere ‘o perdono. O meglio, l’investitura. Perché Silvio regna, Silvio rules, sempre e comunque. Pure 81enne, color mogano, dall’oratoria incerta (scambia migliaia per milioni): alla fine il suo show da Fazio con Morandi l’ha fatto. Certo, capisci che è invecchiato dal fatto che una donna a seno nudo si mostra a lui e non ci prova, non racconta barzellette zozze, non cerca la complicità scurrile e machista dei fotografi, non la invita a una cena elegante e neanche le propone un posto da ministro. Però diamogli tempo e fiducia: presto ci proverà pure con la Isoardi. E nessuno provasse a fare senza di lui: da D’Alema a Renzi, a Veltroni che neanche lo nominava, chi ha provato a sotterrarlo si lecca ancora le ferite. Se lo tocchi, come alcuni faraoni nelle piramidi, la maledizione di Slivio si abbatte su di te. Praticamente Tutankhamon. Di cui peraltro ha il colorito, gli anni (anche per lui ormai serve il carbonio 14 per stabilirne l’età), l’immortalità, la passione per le giovani egiziane, l’ossessione per i mausolei monumentali (chiedere al maestro Pietro Cascella). Bonus Track: Pippo Civati condivide su twitter l’articolo di Lercio su di lui con il commento “Giusto così”. La tenerezza che ci fa l’onestà intellettuale di quest’uomo è struggente. Ghost Track: Avete presente Kennedy che diceva “non pensate a quello che il Paese può fare per voi, pensate a quello che voi potete fare per il Paese”? Ecco, in Italia è: non pensate a quanto fanno schifo i politici, pensate a quanto facciamo schifo noi. Noi, che diamo l’Italia a uno che ha candidato uno come Traini. Uno che va in giro a Macerata cercare di ammazzare immigrati (pochi giorni fa imitato da tal Roberto Pirrone che ha ucciso un senegalese) poche settimane dopo aver presenziato con entusiasmo a un evento leghista della Lega marchigiana. Risultato? Salvini sul tetto del mondo, Lega terzo partito nella regione, tra il 17 e il 18, in grande ascesa. D’altronde non siamo mica soli: il referendum britannico che sancì la Brexit avvenne dopo il barbaro assassinio dell’attivista europeista e ex parlamentare laburista Jo Cox. Quella violenza ci rappresenta. Loro sparano o accoltellano, noi votiamo. Non sono pazzi isolati, ma specchi estremi delle nostre paure e delle nostre ideologie. Ormai siamo dentro democrazie a responsabilità limitata.