Prima la foto ufficiale accanto al vicesegretario del Pd Maurizio Martina, poi il “bravo Carlo” postato dal premier in carica Paolo Gentiloni e infine quel «dado è tratto» twittato assieme alla foto della sua nuova tessera. Insomma, il ministro Carlo Calenda è ufficialmente un militante del Pd. E da militante si è subito schierato nella discussione che sta mandando in tilt il fragile mondo democrat: allearsi o no con Di Maio? Risposta: «Se il Pd si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici». E a chi gli chiede dell’opa sulla segreteria lui, per ora, è netto: «Se cercano l’anti- Renzi non sono io». Punto. Certo è che Calenda potrà contare sul “sostegno” di Gentiloni e di un pezzo di sindacato, a cominciare dall’ottimo rapporto col segretario della Fim- Cisl Marco Bentivogli, il quale però vuol restare alla guida dei metalmeccanici. Ma questa è un’altra storia e un’altra partita.

E dire che la nuova vita del militante Calenda non era iniziata nel migliore dei modi. «Ho scoperto che i termini del tesseramento sono chiusi e al circolo respingono la mia domanda», aveva confidato il ministro ai suoi. Ci ha pensato il vicesegretario Martina a risolvere l’inghippo invitando direttamente il ministro al Nazareno per curare in prima persona il suo tesseramento. Sorrisi, foto di rito e via: Calenda ha iniziato la sua nuova vita da militante del Pd. Ma qualcuno non ha preso affatto bene l’ingresso del nuovo iscritto: «Sostituire Renzi con Calenda alla segreteria del Pd è una bestialità», ha infatti tuonato il governatore pugliese Emiliano che col ministro allo sviluppo ha una pratica ancora aperta sulla vicenda Tap. A Emiliano, infatti, devono ancora fischiare le orecchie per quelle frasi con cui il ministro lo aveva liquidato come un cialtrone che «non sa articolare una proposta, una sola, che sia seria».

E per non rischiare di essere frainteso o scambiato per un convertito al renzismo, Emiliano ha poi chiarito: «Renzi deve limitarsi a fare il senatore e non ha più titolo per parlare di politica». Poi la nuova spinta all’alleanza Pd- 5Stelle: «Il Paese non ha possibilità di attendere lunghe trattative. Si deve sapere subito che il Pd sosterrà lo sforzo di un governo M5S. Il Pd ha questo compito storico. Milioni di persone, al Sud, hanno votato 5 Stelle e io non posso essere sordo a questo indirizzo».

Insomma, Emiliano ormai è il campione dell’alleanza Pd-5Stelle, ignorando il fatto che per i grillini lui ( toga in aspettativa) sarebbe un incandidabile visto che nel loro programma è prevista la totale incompatibilità tra il mestiere di politico e quello di magistrati.

E a proposito di politica e giustizia, nel dibattito alleanza sìalleanza no, arriva anche il parere del guardasigilli Andrea Orlando: «Il 90% del gruppo dirigente del Pd è contrario ad un’alleanza con il M5s». Poi il ministro aggiunge: «È stata una mossa brillante dal punto di vista comunicativo spostare il dibattito interno del Pd sul tema delle alleanze, anzi sull’alleanza con i 5stelle, oscurando così il tema del risultato elettorale. La discussione tuttavia mostra la corda. La maggioranza esclude questa ipotesi». Ma liquidato il tema del giorno, Orlando va a “caccia” di Renzi: «Siamo al 18%. Un solo punto sopra la lega di Salvini. Alla direzione dobbiamo parlare di questo, delle ragioni profonde di questa disfatta elettorale». E dall’ala orlandiana arrivano posizioni ancora più nette: «Dimissioni di Renzi vere, operative ed effettive».

Nessuna notizia, invece, dal mondo franceschiniano. Dopo aver giurato che lui mai e poi mai aveva avviato trattative segrete con Di Maio. Ma i ben informati danno il ministro della cultura impegnato a preparare la direzione di lunedì prossimo, quella che deciderà il destino del segretario “dimissionario” Renzi. Stesso discorso per Gianni Cuperlo: «Abbiamo bisogno di una vera, trasparente, discussione con il nostro popolo - dice -. Soltanto rigenerando il nostro popolo noi ne verremo a capo. Di caminetti e accordi di vertice non interessa alcunchè».

Poi, nella tarda serata di ieri, arriva il colpo di scena finale. "Le mie dimissioni sono esecutive, sono già fuori il Pd senza scontri e polemiche", firmato Matteo Renzi. Una mossa che cerca di disarmare le opposizione ed evitare "l'esecuzione" nella direzione prevista per il prossimo lunedì. Nel frattempo Martina e Orfini guideranno la lunga e complicata transione del Pd.