I garanti dei detenuti territoriali, come quello nazionale, può effettuare i colloqui riservati con i reclusi al 41 bis. Tutto nasce dall’ordinanza del 27 giugno 2017 del magistrato Fabio Gianfilippi, su reclamo di un detenuto in 41 bis del carcere di Terni, per decidere che non si tratta di un colloquio come altri; che deve essere disapplicata la disposizione ministeriale e che quel detenuto può parlare con il Garante della Regione Umbria Stefano Anastasìa che aveva posto inutilmente un quesito al Dipartimento di polizia penitenziaria. Dopodiché hanno fatto ricorso all’ordinanza sia il Dap che il Pm di Perugia. Il tribunale di sorveglianza ha rigettato il reclamo. I colloqui riservati si possono fare. Scoppia la polemica e sulle pagine de Il Fatto Quotidiano interviene anche l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. I colloqui sì, ma non riservati dice Roberti. Una tesi che sposa il reclamo effettuato dal pm di Perugia dove si mette in evidenza “il pericolo che attraverso il garante territoriale, ci possano essere collegamenti all’esterno con il sodalizio di appartenenza”. Ieri su Il Dubbio il garante Stefano Anastasìa ha respinto tali supposizioni, ribadendo che non si può negare un incontro riservato con i garanti in nome del sospetto.

Il garante, sia locale che regionale, è una figura istituzionale prevista dal nostro ordinamento che lo equipara al pari di altre autorità istituzionali. Ricordiamo che l’articolo 35 dell’ordinamento penitenziario recita: «I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa: al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti». La busta chiusa è, appunto, riservatezza. Come scrisse l’ex magistrato di sorveglianza Francesco Maisto in un articolo de Il Manifesto, «è fin troppo ovvio che chi parla con il Garante non effettua un colloquio in senso tecnico, ma espone un reclamo orale». Eppure la polemica si focalizza sull’ipotesi che un garante possa fare da tramite con le organizzazioni mafiose.

Per Franco Corleone, garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Toscana, nonché coordinatore di tutti i garanti territoriali per i diritti dei detenuti si tratta di «una presunzione, una ipotesi astratta che non ha alcun pregio giuridico.

Il problema è decidere se c’è un diritto da parte dei garanti territoriali o no. Mi pare che sia stato affrontato con molto rigore da parte del magistrato Gianfilippi e il tribunale di sorveglianza l’ha riconosciuto con nettezza assoluta e ha respinto l’idea di differenziare le competenze tra il garante nazionale ( da sempre può fare i colloqui riservati ndr) e garante territoriale».

Rimane il discorso che potenzialmente un garante locale o regionale possa essere attiguo a dei sodalizi criminali. «Iniziamo però con il dire – sottolinea Corleone a Il Dubbio – che una questione del genere fu sollevata anche per quanto riguarda gli avvocati che subirono delle limitazioni. La Corte costituzionale aveva riconosciuto il diritto alla difesa senza limiti alcuni e superando quindi la teoria del sospetto».

Franco Corleone si riferisce alla sentenza della Corte costituzionale del 2013. In sintesi, la Corte, ha messo nero su bianco che tale diritto «è suscettibile di bilanciamento con altre esigenze di rango costituzionale, così che il suo esercizio può essere variamente modulato o limitato dal legislatore», ma «a condizione che non ne risulti compromessa l’effettività». Principi che «valgono in modo particolare quando si discuta di restrizioni che incidono sul diritto alla difesa tecnica delle persone ristrette in ambito penitenziario, rese più vulnerabili, quanto alle potenzialità di esercizio delle facoltà difensive dalle limitazioni alle libertà fondamentali insite, in via generale, nello stato di detenzione». Rimane però il sospetto che un garante possa essere vicino ad ambienti mafiosi e quindi un tramite. «Tenendo sempre presente che i detenuti al 41 bis sono posti in carceri lontane dal luogo di operatività del loro clan – spiega il coordinatore dei garanti Franco Corleone -, l’amministrazione penitenziaria, il giorno che un garante ha un colloquio riservato, lo comunica al Dap che a sua volta lo comunica alla direzione antimafia. Quindi un controllo esiste a prescindere».

Franco Corleone, come coordinatore dei garanti, ci tiene a ricordare che si trattano di figure autorevoli, con un loro profilo di storia personale riconosciuta pubblicamente. Le procure antimafia possono verificare chi siano e se ci sia o meno, qualche sospetto di vicinanza con le organizzazioni mafiose. «In realtà – chiosa Corleone -, di garanti regionali ce ne vorrebbero di più per coprire il territorio visto che mancano ancora in alcune regioni come l’Abruzzo, la Sardegna, la Basilicata e la Calabria».