«Il Movimento 5 Stelle è rappresentativo dell’intera nazione, e questo ci proietta inevitabilmente verso il governo dell’Italia». Luigi Di Maio, a ragione, si gode il trionfo. Il suo partito ha fatto il pieno di voti, soprattutto al centro sud, ottenendo la fiducia di oltre 11 milioni di italiani. Col 32,6 per cento delle preferenze i grillini non hanno rivali. L’unico scoglio da superare è il centrodestra unito, che grazie a una Lega straripante ottiene il 37 per cento. Sergio Mattarella, però, non potrà ignorare il peso della prima forza politica del Paese. Resta da capire dove il capo politico pentastellato andrà a cercare i seggi mancanti per formare una nuova maggioranza. Dialogo con tutti inciuci con nessuno, è la linea che a ventiquattro ore dal voto prevale ancora in casa 5 Stelle. Eppure, escludendo l’ipotesi di un governo di minoranza, il Movimento dovrà necessariamente sedersi al tavolo con qualcuno se vorrà portare a Palazzo Chigi il proprio leader. Ma con chi? Per ora Salvini non sembra intenzionato a condividere il potere fuori dallo schieramento classico del centrodestra. A Di Maio, dunque, non resterebbe che bussare alle porte del nemico di sempre: il Partito democratico, giocando magari con le spaccature interne dopo l’annunciato abbandono di Matteo Renzi. Il segretario dem non vuol sentir parlare di accordi con chi, fino a pochi giorni fa, accusava lui e il suo partito delle peggiori nefandezze. Dunque: «Fate il governo senza di noi. Il nostro posto è all’opposizione. Il Pd non diventerà la stampella di un governo delle forze antisistema», manda a dire Renzi, che rimanda le dimissioni a dopo la formazione di una nuova maggioranza.

L’impresa è tutt’altro che semplice ma i grillini non demordono. «Io un discorso così strampalato non l’ho mai sentito», commenta Alessandro Di Battista. «Renzi è in confusione totale e non se ne rende neppure conto. E non si è dimesso. Pur di non dimettersi è disposto a frantumare quel poco che resta del Pd, sono problemi suoi. Questo è un problema interno del Pd». In questa fase tutto è ancora possibile e magari un bel gruppo di neoeletti renziani potrebbe decidere di non sottostare ai diktat di un segretario uscente per muoversi in maniera autonoma, sperano alcuni grillini. La piccola pattuglia di deputati e senatori entrati in Parlamento con Liberi e Uguali potrebbe tornare utile al progetto, giocare un ruolo ponte tra minoranza dem e M5s. «Noi siamo una forza con una rappresentanza limitata ma comunque disponibile a tutti i confronti in Parlamento. Saremo certamente aperti al confronto ma in Parlamento», dice Piero Grasso lasciando aperte tutte le porte. Il primo banco di prova per testare possibili intese sarà l’elezione delle presidenze delle Camere. I 5 stelle pensano di proporre una rosa di nomi da sottoporre alle altre forze politiche. «Oggi comincia la terza Repubblica. E sarà la Repubblica dei cittadini italiani», ripete radioso Di Maio, che forse sottovaluta l’incredibile somiglianza della Terza con la Prima Repubblica. Ma oggi è il giorno dei festeggiamenti. In Sicilia, come in Puglia, come in Sardegna e come in Basilicata i grillini hanno fatto cappotto: si sono aggiudicati tutti i collegi uninominali disponibili. Un successo che ricorda da vicino il fatidico 61 a 0 di Berlusconi in Sicilia nel 2001. In Campania il Movimento perde solo ad Agropoli, ma dalla Toscana in giù è un tripudio di giallo sulla cartina geografica. Luigi Di Maio ad Acerra ottiene il 63,8 per cento delle preferenze contro il 20 di Vittorio Sgarbi, mentre Roberto Fico ha la meglio sul centrodestra napoletano con un incredibile 57,5 per cento.

La forza del logo 5 Stelle è talmente trainante da portare in Parlamento anche i candidati espulsi preventivamente. Tra furbetti del bonifico, massoni e indagati sono in tanti a spuntarla. Passa Andrea Cecconi ( che batte Marco Minniti a Pesaro), passa Carlo Martelli e passa anche Maurizio Buccarella. Vincono pure Antonio Tasso, Salvatore Caiata, Catello Vitiello. Sul loro conto il Movimento non ha cambiato idea, assicurano i vertici. «Chiaramente starà a loro dare una risposta ma la nostra posizione rispetto ai singoli casi è già stata espressa e non cambia», spiega il ministro della Giustizia in pectore Alfonso Bonafede. Solo una nota dolente. Degli 8 aspiranti ministri presenti in lista vincono la sfida elettorale solo in tre. Bocciati Paola Giannetakis ( Interno), Domenico Fioravanti ( Sport) e Alberto Bonisoli ( Cultura). Ripescati nel listino ma sconfitti all’uninominale: lo stesso Bonafede e Riccardo Fraccaro ( Rapporti con il Parlamento).

Ma il trionfo non può essere offuscato da piccolissime macchie. E in serata Beppe Grillo si fa vivo per ringraziare gli elettori. «Ero quasi convinto, nei momenti di sconforto, che un nulla rassegnato avesse conquistato la stragrande maggioranza delle menti e dei cuori. Che tutto quello che abbiamo fatto fosse sbocciato troppo tardi, davanti al fuoco di fila dei media», scrive sul suo blog. «Invece voi avete saputo guardare oltre quelle polveri, ve ne sono grato».