Le notizie che dà Milena Gabanelli, nella sua rubrica on line del Corriere della sera, Dataroom, non sono bufale ma sono un condensato di sensazionalismo, giustizialimo, “finedelmondo”: un mix micidiale che potremmo chiamare, visto il loro carattere così unico, “Gaba news”. Non c’è questione dello scibile umano che Gabanelli non faccia sua: l’importante ci sia sotto uno scandalo. Dalle fake news alle “Gaba news” Qualcuno salvi Milena...

Non sono notizie inventate, le ormai famigerate fake news che infestano l’informazione e le campagne elettorali, dirottando in maniera ambigua l’opinione pubblica. Questo sicuramente no.

Le notizie che dà Milena Gabanelli, nella sua rubrica on line del Corriere della sera, Dataroom, non sono bufale ma sono un condensato di sensazionalismo, giustizialimo, “finedelmondo”: un mix micidiale che potremmo chiamare, visto il loro carattere così unico, “Gaba news”. Non c’è questione dello scibile umano che Milena Gabanelli non faccia sua. La rubrica tratta di tutto: dal fisco agli ospedali, dalla povertà al numero degli spermatozoi in crollo verticale, dalla scienza all’economia, dalla medicina alla politica. Tutto. C’è anche il mal di schiena, quasi un cult con colpo di scena: perché anche in una storia che riguarda i dolori fisici di tanti italiani si annidano truffe, una politica che favorisce chi ruba a noi cittadini, uno scandalo che finalmente viene denunciato. Non c’è notizia, per la Gabanelli, se non rivela qualcosa di torbido, di nascosto, di putrescente.

Dal 1997 è stata la conduttrice di Report, fino all’addio di due anni fa e il passaggio, poi definitivo al Corriere dalla sera in polemica con viale Mazzini che gli proponeva “solo” l’incarico di condirettore di Rainews24 con la delega allo sviluppo del portale web.

Ma torniamo alle “Gaba news”. Con Report lo stile era sempre lo stesso: mettere le mani in pasta, anche quando la pasta non dava adito a sospetti. Nel 2012, l’episodio chiave con cui impallinò, decretandone la fine politica, l’ex pm Antonio di Pietro. Nel giro di una puntata, il segretario dell’Idv si ritrovò disoccupato. Da allora, su Report, ogni aspetto dello scibile umano è stato sottoposto a vivisezione: pure la pizza, la nutella e forse anche le patatine. Ma sempre dal punto di vista del codice penale.

L’idea è quella di un giornalismo che non fa una ricerca a tutto campo, ma che deve per forza trovare il marcio, altrimenti non c’è gusto, non c’è notizia, non c’è spettacolo. È così da decenni: i programmi di inchiesta si sono specializzati nella denuncia che sfocia nell’urlo giustizialista, nell’antipolitica, nella denigrazione sempre e comunque di chi si affaccia alla vita pubblica. Oggi contiamo le macerie di questo modo di intendere l’informazionespettacolo. Macerie che sono visibili in tanti ambiti, compreso quello dell’informazione. L’agente provocatore, protagonista della recente inchiesta di Fanpage sui rifiuti, è la punta dell’iceberg: anni e anni in cui giornali e tv hanno fondato il loro successo sullo sbattare la vita altrui in prima pagina, darla in pasto ai lettori, far cadere ogni scurpolo “etico” sul rispetto della dignità delle persone e della loro privacy. Ma quando non c’è più carne da addentare, la notizia va creata ad hoc, sollecitata, immaginata e costruita con l’agente provocatore.

Milena Gabanelli non cede a questa ulteriore brutta piega, ma con il suo Dataroom si inerpica in una varietà di questioni rispetto a cui ci vuole competenza, preparazione, verifica delle fonti. Questo vale soprattutto in ambito scientifico, che come dice sempre il virologo Roberto Burioni è questione per nulla democratica, perché richiede specializzazione e tanto studio. Per Milena e il suo Dataroom invece tutto è semplice, tutto a portata di mano, l’importante che ci sia sotto uno scandalo o qualcuno da denunciare, fosse anche uno spermatozoo.