Dei Moratti, che sono un piccola famiglia Kennedy prosperata sui navigli milanesi, Gian Marco, scomparso ieri a 81 anni, era il più schivo, il meno mondano, quasi uno sconosciuto per il grande pubblico. Come si dice in gergo uno con i piedi per terra.

Ma anche l’erede naturale di papà Angelo da cui ha raccolto il bastone del comando. Mentre il fratellino Massimo si trastullava con l’Inter, sperperando centinaia di milioni di euro in bidoni più o meno esotici ( ma anche vincendo un Triplete), lui gestiva gli affari di famiglia, la “roba”. E lo faceva lontano dalle ribalte, centrato come una quercia, tenendo i conti a posto e garantendo profitti a tutti. Un po’ preoccupato per le iniziative sbilenche di Massimo, ma senza fastidi o paternalismi: come tutti i grandi clan i Moratti sono sempre stati uniti, ai limiti del tribalismo, anche quando le idee non coincidono, anche quando i principii e le battaglie divergono, la famiglia prima di tutto, la famiglia davanti a tutto. Forse è così che si diventa una dinastia, proteggendosi gli uni con gli altri.

Una ricchezza che galleggia sul petrolio quella dei Moratti, la prima pietra l’ha posata Angelo, classe 1909, anche se la stirpe deve tutto ai bisnonni paterni, due modesti agricoltori della bassa bergamasca che diedero alla luce 21 figli, i 14 maschi tutti laureati, le sette femmine in convento oppure maritate con qualche buon partito. Non come i Rockfeller che sotto il sedere si sono trovati fiumi di oro nero, l’Italia quella fortuna non l’ha mai avuta ma neanche lo spirito di conquista un po’ ribaldo e un po’ squaloide degli americani, così papà Angelo si dedica al commercio del greggio e alla costruzione di raffinerie; benzine, diesel e kerosene hanno ormai soppiantato i vecchi combustibili come torba e carbone, si apre una nuova era industriale, i Moratti ne saranno protagonisti assoluti.

Il primo impianto alla fine degli anni ‘ 40 ad Augusta in provincia di Siracusa con materiali acquistati in Texas e poi trasportati in Sicilia, è la Rasiom che poi cederà alla Esso. Negli anni 50, sempre ad Augusta fonda la Prora, azienda che di trasporto marittimo. La realizzazione più grande però è in Sardegna a Sarroch quando nel 1962 costruisce la Saras, una raffineria monstre che nel corso del tempo è diventato il più importante polo petrolifero del Mediterraneo, un colosso che lavora 15 milioni di tonnellate di greggio ogni anno, che sarà la gallina dalle uova d’oro per tutta la famiglia non senza polemiche e accuse di violare la sicurezza dei lavoratori, come nel 2009 quando tre operai persero la vita per un’intossicazione da azoto. Nel 2006, quando la Saras approda in Borsa i moratti intascano 750 milioni di euro, i più maligni dicono che la cifra corrisponda euro più euro meno ai passivi accumulati da Massimo nella fornace nerazzurra.

Naturalmente c’è l’Inter, la grande Inter di Suarez, Corso, Mazzola e soprattutto del “mago” Helenio Herrera, di cui sarà presidente come il figlio minore Massimo, ma vincendo molto di più e spendendo molto, molto di meno. E poi le poltrone dei consigli di amministrazione, dal Corriere della sera alla Mobil, dalla Texaco alla Esso, la vicepresidenza di Confindustria.

In questa saga del capitalismo meneghino il futuro di Gian Marco, primogenito assennato, è già scritto, il suo posto già tenuto al caldo: «La tua America è questa sedia» gli dice papà Angelo, chiedendogli di restare a Milano e di rinunciare agli Stati Uniti, tappa obbli- gata per i rampolli dell’epoca. Finito il liceo ci sono i 18 mesi di servizio militare e poi giù, a capofitto, con il lavoro. Sempre lontano dai riflettori, anche quando negli anni 60 è uno dei ragazzotti più ricchi d’Italia e anche uno dei più ambiti. In vacanza l’immancabile Versilia dove sfreccia con una lambretta bianca, educatissimo, abbronzatissimo ma sempre con quel piglio riservato, quasi aristocratico, che non lo ha mai abbandonato: se avesse recitato nel Sorpasso di Dino Risi sarebbe stato senz’altro il timido e Trintignant, di sicuro non il guitto Gassman. Di lui si innamora la sofisticata Lina Sotis che lo sposa a soli 18 anni nel 1962, nascono due figli: Angelo ( ancora!) e Francesco. L’unione però non funziona e nel 1967 arriva il divorzio. Lina sotis diventerà la sacerdotessa del bon- ton nella Milano da bere degli anni 80, Gianmarco invece incontra la donna della sua vita: Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, di origini aristocratiche, la sua famiglia ha fondato la prima società italiana di brokeraggio assicurativo. Riservatissimi sulla vita privata, si consacrano agli affari e alla politica delle donazioni in beneficienza. Massimo invece sposa Michela Enza Bossi detta “Milly”, militante ecologista con gusti frikkettoni, amante del subcomandante Marcos che solca Milano con la sua bicicletta scassata. Gli orientamenti, le posizioni politiche, le scelte di società di questa dinasty lombarda sono in fondo una metafora dell’Italia e delle sue divisioni, ma allo stesso tempo testimoniano una fibra comune, una generosità istintiva che che scorre nelle vene dei Moratti: Massimo e Milly, progressisti, di sinistra, finanziatori di Emergency, Gian Marco e Letizia conservatori, di destra, finanziatori della comunità di San Patrignano di Vincenzo Muccioli. Letizia è stata presidente della Rai, sindaca della Madonnina e ministra berlusconiana dell’Istruzione, Milly ha invece sostenuto Giuliano Pisapia come sindaco di Milano proprio contro la cognata. Le due donne si sono anche scontrate durante le elezioni, con Milly che accusò il governatore Formigoni di manipolare Letizia. Ma quando le luci della politica si spengono e ci si ritrova tutti insieme, le differenze si appianano, le distanze scompaiono, i rancori evaporano e la famiglia prevale su tutto il resto. Proprio come i Kennedy.