«Dottò, la munnezza è oro», disse il pentito Nunzio Perrella all’allora procuratore Franco Roberti. Erano gli anni Novanta e ancora si doveva scoperchiare il malaffare sulla Terra dei fuochi, lui era un ex boss di camorra del rione Traiano diventato collaboratore di giustizia. Viso sempre coperto da un passamontagna, il nome di Perrella non è mai sparito dalle cronache giudiziarie: a ventidue anni di distanza, è sua la manica che nasconde la telecamera segreta di Fanpage per l’inchiesta sui rifiu- ti in Campania ed era sempre sua la voce alle telecamere di Nemo e poi nell’intervista al Fatto Quotidiano, nel 2016, in cui dichiarava: «Abbiamo scaricato anche a Malagrotta, nella discarica di Manlio Cerroni». Un pentito di- ventato grande accusatore e agente provocatore di presunti corrotti, puntando il dito da Cerroni alla famiglia De Luca.

Quando la bufera mediatica si placa, però, a terra rimangono i fatti e proprio su questi la parabola del pentito Pererella si infrange.

«Il signor Perrella, dinamico e attivissimo ex camorrista, ha fatto anche me oggetto in passato delle sue “dichiarazioni di verità” ha scritto a Il Dubbio l’imprenditore Manlio Cerroni, proprietario della discarica romana di Malagrotta ( il più grande sito di smaltimento d’Europa) e ancora al centro di un processo penale per traffico illecito di rifiuti-. Rilasciando un’intervista a Il Fatto Quotidiano ( il 7 aprile 2016 ndr), ha parlato a ruota libera di presunti rapporti tra le organizzazioni camorristiche interessate al ciclo ( illecito) dei rifiuti e la Discarica di Malagrotta a me riconducibile, dichiarandosi anche pronto a fornire prove documentali di tali asseriti rapporti». Prove che, pur richieste, non sono mai state presentate né da Perrella né da Il Fatto Quotidiano che della vicenda si è occupato. Né, in seguito alle dichiarazioni di Perrella, la magistratura ha ritenuto di aprire un fascicolo d’indagine.

Al silenzio Cerroni ha risposto con una sfida, datata 6 maggio 2016 e lanciata alla redazione del quotidiano con una lettera al direttore: «Vista la vostra attitudine a occuparvi spesso di giornalismo giudiziario e visti i vostri rapporti consolidati con le Procure di tutta Italia, credo e mi auguro vogliate partecipare al concorso» con un premio di 100mila euro a chiunque dimostri con prove un suo qualsiasi rapporto diretto e indiretto con organizzazioni criminali e mafiose. «Inutile dire che nessuno ha partecipato», ha chiosato l’imprenditore.

Eppure, proprio sull’attendibilità di Perrella si è fondata l’inchiesta di Fanpage: «Perrella è un pentito che le procure hanno ritenuto affidabile e utilizzato per anni. Perchè noi avremmo dovuto regolarci diversamente? », si è difeso il direttore Francesco Piccinini ( indagato per istigazione alla corruzione, dopo la pubblicazione del servizio). Anche questo, tuttavia, viene smentito nei fatti dal procuratore di Brescia Sandro Raimondi, ascoltato il 31 maggio 2017 dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo del rifiuti. Il pm era titolare di un’inchiesta su un presunto interramento di rifiuti nei comuni di Brescia e Ferrara, nell’ambito della quale Perrella era stato ascoltato in seguito alla sua intervista alla trasmissione Nemo.

Alla domanda diretta se il pentito sia credibile o meno, Raimondi ha dichiarato che «nel corso dell’esame, Perrella parlò molto del suo passato. Decidemmo poi di chiedere di dirci qualcosa di attuale. Fece delle dichiarazioni di principio e delle segnalazioni ma, di fatto, i nominativi che vennero da lui portati alla nostra conoscenza non ci diedero delle immediate risultanze». E ha proseguito Raimondi: «Perrella diceva di sapere i luoghi dove avevano interrato i rifiuti. Le risultanze a cui la polizia giudiziaria pervenne sono assolutamente negative, sia su personaggi ( molti personaggi non vennero riconosciuti in fotografia), sia sui luoghi, che non vennero indicati». Insomma, la conclusione del procuratore è categorica: «per quella che è la mia personale opinione, egli non ha fornito allo stato elementi validi perché possano essere giustificate spese processuali di mezzi, tempo e ore uomo». In sostanza, un pentito inattendibile. L’indagine della procura di Brescia e la vicenda di Manlio Cerroni arrivano dunque alla medesima conclusione: le dichiarazioni di Perrella sono allusive, ma non reggono alla prova dei fatti. Risultato: i 100mila euro in palio del patron di Malagrotta sono ancora lì, insieme agli esiti negativi delle risultanze investigative.