Settecento pagine: la relazione conclusiva presentata ieri dalla presidente dell’Antimafia Rosy Bindi è «poderosa», dice Pietro Grasso. Peccato sia inutile: contiene tesi scontate, a cominciare da quella secondo cui la vera mafia non intimidisce più ma corrompe. La Bicamerale sembra ormai un ente inutile. Eppure è potentissimo. Censura tutti. Non solo gli impresentabili, persino i magistrati che «non capiscono il nuovo metodo mafioso». Un siluro ai giudici di Roma che hanno respinto l’accusa di 416 bis per Mafia capitale.

Rosy Bindi un po’ si lamenta. Lo fa con lo sguardo rivolto al ministro Orlando: «Vedi, i capi di partito non snobbano solo i tuoi Stati generali ( della lotta alle mafie, ndr) ma anche questa occasione». Vero, ma non del tutto. Perché oltre al guardasigilli, al ministro dell’Interno Minniti, al procuratore nazionale Cafiero de Raho e a Don Ciotti, a presentare la relazione finale dell’Antimafia c’è anche Pietro Grasso. Che fino a prova contraria non è solo la seconda carica dello Stato: è pure il “capo” di Liberi e uguali. E poi, nella Sala Koch di Palazzo Madama, la presidente della Bicamerale ha trova una folla di giornalisti accampati alla meglio e soprattutto di magistrati. L’occasione è importante: il lavoro conclusivo della commissione Antimafia è «poderoso», come lo definisce Grasso, che parla per primo: oltre 700 pagine, la sintesi diffusa ieri pomeriggio all’ingresso si ferma a 42 cartelle solo perché l’hanno stampat in corpo 8, ai limiti dell’illeggibile. Al centro un concetto, così formulato da Bindi: «Nella prima parte del lavoro abbiamo esposto l’evoluzione del metodo mafioso, che oggi si avvale non solo dell’intimidazione ma soprattutto della corruzione. La mafia», dice la presidente della Bicamerale, «si basa sempre più su relazioni e complicità, trova la propria forza fuori da se stessa, è capace di trasformare le proprie vittime in complici».

«CORRUZIONE È MAFIA»

Perfetto preambolo per affermare la mafiosità di Buzzi e Carminati. Ebbene sì. «Il mutamento del metodo mafioso che usa la violenza ma sempre più spesso sa trovare interlocutori nuovi, ci costringe a cambiare strategia di lotta».

Adesso, c’è da chiedersi dove sia l’illuminante fatta dai parlamentari che compongono la commissione. È la tesi ascoltata nelle re- quisitorie di Mafia capitale. I cultori della materia possono arricchirle con gli articoli e i discorsi fatti ai convegni da tanti pm, sempre dello stesso tono. Ma l’assioma «corruzione uguale mafia» è un’arma politica troppo potente per sfuggire alla tentazione di riagitarla. Non a caso ad abbracciala in pieno è sempre Grasso, presidente del Senato e capo partito, appunto. L’equazione proposta dalla Procura di Roma su Mafia capitale è la nuova frontiera, e Bindi vi si inoltra per criticare persino la cosiddetta «antimafia sociale» : le associazioni, il partito molecolare della legalità. «È in una crisi strutturale», ammette la presidente, «perché non è ancora riuscita ad adeguarsi alle nuove forme del fenomeno». I militanti dell’antimafia sarebbero insomma prigionieri dei vecchi, comodi schemi della Cosa nostra stragista e non hanno capito nulla.

IL SILURO AI MAGISTRATI

Bene. Ma la bordata più forte arriva un attimo dopo ed è rivolta contro le toghe. Ebbene sì. «Certe incomprensioni tra la magistratura requirente e quella giudicante richiedono qualche sforzo in più: si fa ancora fatica a riconoscere l’evoluzione del metodo mafioso, in qualche caso per limiti delle Procure, certo, ma in altri casi», e tra questi, è implicito, c’è quello di Roma, «il problema è l’incapacità della magistratura giudicante di leggere la realtà».

È un’accusa pesantissima, mai formulata in tono così netto. In pratica, la decima sezione penale del Tribunale di Roma presieduta da Rosanna Ianniello ci avrebbe capito persino meno delle associazioni antimafia. Avrebbe sprecato il lavoro dei pm e negato la realtà di Mafia capitale: una grande cupola così forte da non avere bisogno di intimidire, per essere mafia. L’ipotesi che ai politici corrotti da Buzzi facesse piacere farsi corrompere, non sfiora la presidente Bindi. Convinta che «non c’è bisogno di aggiornare il 416 bis». Nonostante tuttora vi si preveda che per parlare di associazione mafiosa serva il potere intimidatorio, non la complice, reciproca convenienza.

LA COMMISSIONE DEI SUPERPOTERI

E allora: botte all’antimafia militante, legnate ai giudici che sbagliano le sentenze e, ovvio, fendenti alla politica «la cui mancanza di attenzione ci preoccupa». E non è finita qui. Bindi, sotto lo sguardo compiaciuto di Grasso e Don Ciotti, e quello un po’ più cauto di Orlando e Minniti, chiede che le forze politichìe «adottino criteri più stringenti nella formazione delle liste», anche se sulla questione impresentabili «non è il caso di tornare», dice la presidente. Il prossimo Parlamento dovrebbe anzi «rivedere le regole» per la candidabilità. E ancora, sia Bindi che Grasso ricordano «le due proposte di legge avanzate da questa commissione Antimafia nel corso della legislatura e approvate definitivamente». Si tratta del nuovo Codice antimafia e delle norme sui testimoni di giustizia. Fino all’eredità che la Bicamerale, secondo la sua presidente, può lasciare ai successori. Premessa: «Cosa nostra è stata sconfitta ma questo non vuol dire che noi abbiamo vinto. Non potremo dire di esserci riusciti finché non verrà fatta luce sui depistaggi sui punti oscuri delle stragi: è evidente come i responsabili non si trovino solo dentro ma anche fuori della mafia». Va bene: c’è infatti un processo intitolato alla“Trattativa”, che avrebbe dovuto far luce anche su questo e che, come Bindi stessa ricorda, «ha concluso la fase dibattimentale». Non basta però. Secondo la presidente dell’Antimafia, se la giustizia propriamente intesa non è in grado di individuare i correi di stato, «sarà il Parlamento la sede ove accertare queste altre responsabilità: tocca a noi indagare su chi ha sfregiato il Paese, e la nostra commissione Antimafia lascia un grande patrimonio di documentazione da cui partire».

INUTILI, CIOÈ POTENTISSIMI

Bindi insomma vuole che la Bicamerale non si limiti più a selezionare o almeno censurare le candidature, ma che diventi un’altissima magistratura, dallo sguardo più ampio di quella ordinaria. Non sarà un po’ troppo? E soprattutto, questo continuo debordare dalla funzione istituzionale, “commissione d’inchiesta sul fenomeno della mafia”, non dice forse che oggi l’Antimafia ha perso la propria funzione, si è ridotta a ente inutile, e prova a giustificare se stessa attraverso compiti che non le spettano? Oltretutto, la stessa analisi, non proprio originale, che Bindi e gli altri parlamentari dell’organismo propongono nella relazione sembra, ancora, una formidabile premessa per acquisire altro potere. L’idea secondo cui la corruzione è mafia spiana la strada al controllo sui partiti. Le liste degli impresentabili non sono altro che la sublimazione del principio. Più in generale, la tesi che vorrebbe attribuire «mafiosità» a organizzazioni corruttive come quella di Salvatore Buzzi è un’astuta trasposizione del regime speciale previsto contro i boss. Si vuole dire che le mazzette hanno sostituito la lupara per cingere d’assedio i partiti, tenerli sotto ricatto, istituire un tribunale della legalità che metta la democrazia sotto tutela. La logica è questa. Ed è vero che Bindi non si ricandida, dunque non è prevedibile la direzione che la Bicamerale potrà assumere nella prossima legislatura. Ma l’impostazione di partenza è questa. E se a Palazzo San Macuto, di qui a un mese, si insediasse un presidente più cauto, finirebbe, come minimo, bersaglio della stampa giustizialista, dei moralisti come Grasso e i cinquestelle.

Non sfugge all’inganno neppure il più prudente ministro dell’In- terno Minniti, che interviene dopo Don Ciotti e pure dice che «c’è troppo silenzio attorno al tema dell’ingerenza dei clan». Lo stesso Orlando si lamenta del fatto che «il tema della mafia sia scomparso dalla campagna elettorale». Ma sullo sfondo di affermazioni del genere c’è un obiettivo ambizioso: trasformare la politica in una permanente divisione tra buoni e impresentabili. Una commissione Antimafia che governa la democrazia e scrive sentenze sul passato, come chiesto da Bindi.

Forse è troppo. Ma è anche la sola opzione rimasta per non chiudere la Bicamerale. Fosse per i contenuti di analisi, non ce ne sarebbe più bisogno. Nella relazione si leggono ovvietà del tipo «preoccupa la commistione tra criminalità organizzata e tifoserie calcistiche», oppure che è fonte di analogo allarme «il coinvolgimento di un esercito di bambini per il controllo del territorio». Fino al colpo di teatro: «La ’ ndrangheta è la mafia più potente, la colonizzazine ’ ndranghetista si è affermata a macchia di leopardo». Cinque anni di attività parlamentare per fare scoperte del genere. Non avrebbe senso. Ecco perché le pretese censorie o magistratuali servono. E finora hanno trovato spazio, con eccezioni rare alla Vincenzo De Luca. Sarà pure inutile, ormai, l’Antimafia. Ma grazie alle funzioni impropriamente svolte, è assai più potente che in passato.