La svolta arriva via etere. Andrea Orlando è a Radio anch’io, programma seguitissimo della prima rete Rai. «Allora ministro, può garantire che approverete il decreto sull’ordinamento penitenziario entro il 4 marzo?». Risposta: «Ho parlato con Gentiloni e ci sono tutte le condizioni per cui questo possa avvenire». Passano poche ore e il quesito viene posto a La7, durante “Otto e mezzo”, direttamente al premier. Che non solo conferma l’ottimismo del guardasigilli ma fissa anche la data: «Nei prossimi 15 giorni faremo la riforma carceraria: il Consiglio dei ministri si riunisce il 22 per il via libera ai decreti». È l’atto di coraggio dell’esecutivo invocato da più parti. Non è chiaro se nella prossima riunione a Pazzo Chigi verrà emanato un provvedimento conforme alle correzioni chieste dal Senato.

Se viceversa venisse mantenuta la versione originale, inclusa la parte che eilimina le “ostatività” nell’accesso ai benefici, il testo tornerebbe in Parlamento con le motivazioni delle mancate modifiche. Sarebbe inevitabile a quel punto uno sforamento oltre il 4 marzo, con un supplemento di suspence. Perché il sì definitivo dovrebbe essere pronunciato da un Consiglio dei ministri in super- prorogatio. Tecnicamente legittimo ma politicamente complicato.

Peserà in ogni caso la determinazione di Orlando. Che ai microfoni di Radio Rai chiarisce: «Sono il primo a volere che si arrivi all’approvazione, ho dedicato tanto del mio lavoro a questo obiettivo: anche quando sembrava fosse sfumata ogni possibilità ho continuato a lavorare e siamo riusciti in zona Cesarini ad avviare l’esercizio della delega, a creare il presupposto per completare l’iter». Il giornalista chiede: «Quindi la risposta è sì, approverete il decreto?». E Orlando: «La risposta è sì. I tempi sono strettissimi, ma la risposta è sì, ce la possiamo fare». È un impegno pubblico che a questo punto non sarebbe facile disattendere, per il governo. Non nel pieno di una campagna elettorale in cui gli avversari sono pronti a rinfacciarti tutto, pure le mancate riforme che mai avrebbero votato. Come questa, appunto che umanizza, rende più flessibile, e finalizzato al recupero dei detenuti, il sistema delle carceri. Un intervento per il quale due giorni fa sono scesi in campo intellettuali, giuristi e politici con una lettera- appello, pubblicata ieri da questo giornale. L’iniziativa, a prima firma del filosofo Aldo Masullo, vede impegnati anche il presidente del Cnf Andrea Mascherin e il numero uno delle Camere penali Beniamino Migliucci. Avvocatura dunque in prima fila in uno schieramento di alto livello che sollecita l’esecutivo a piantare l’ultima bandiera.

La vetta è vicina, ma la promessa di Gentiloni e Orlando dovrà superare ancora due ostacoli. Il pri- Il doppio annuncio Orlando-Gentiloni ribalta proprio l’apocalittico entusiasmo del giornale diretto da Marco Travaglio, che ieri aveva incorniciato uno stralcio dell’intervento di Ardita in Senato con il titolo “Tempo scaduto: nessuna riforma per le carceri”.

Certo, posizioni critiche come quelle del procuratore aggiunto di Catania continuano ad assicurare l’armamentario ideologico di chi si oppone al provvedimento. Come riportato due giorni fa dal Dubbio, il nodo che secondo il magistrato «potrebbe dar luogo a pericolose conseguenze» sarebbe nell’articolo 7 del decreto, che introduce l’articolo 4 ter dell’ordinamento penitenziario: «Tale disposizione», ha segnalato il pm in audizione, «prevede per legge il cosiddetto scioglimento del cumulo» . Vuol dire che un mafioso con una pena complessiva di 30 anni, composta da 22 per il reato di associazione mafiosa ( il 416 bis) e da altri 8 per reati diversi, per esempio rapine, potrebbe uscire dal 41 bis dopo aver scontato 22 anni anziché dopo 30 qualora, nella sentenza di condanna, gli 8 anni per le rapine non fossero stati accompagnati dall’aggravante del metodo mafioso. Ma si tratta di un’ipotesi estrema: riguarderebbe detenuti che hanno già trascorso diversi lustri al 41 bis, e in ogni caso dovrebbe passare per diverse forche caudine giurisdizionali, che vedrebbero il Dap opporsi all’eventuale decadenza del regime speciale.

Le modifiche all’articolo 4 bis dell’ordinamento - che precludeva appunto benefici per i reati più gravi - prevedono, ha fatto notare ancora Ardita, di concedere le tutele previste per le detenute con figli piccoli anche ai padri. «Detenuti di mafia con pena residua fino a 4 anni vedrebbero la concreta possibilità di uscita dal carcere al determinarsi di condizioni impeditive del ruolo della madre», ha segnalato il magistrato. Si tratte di reclusi che hanno già scontato gran parte della condanna. Difficile pensare di affossare per questo una riforma che dà finalmente attuazione al principio del fine rieducativa della pena.