Un migrante sale sul Frecciarossa Roma- Milano. Non parla l’italiano e mostra un biglietto non valido. Poi trova quello giusto e lo dà alla capotreno. Questi i fatti. Ma per un altro passeggero, la realtà è diversa e la scrive su facebook: quel ragazzo sta imbrogliando. E stabilisce un’equazione tra il biglietto secondo lui non pagato e l’uccisione ( ancora in fase di accertamento) di Pamela. Trenitalia smentisce ma quel post ha già ottenuto 75 mila condivisioni e 120 mila mi piace. È l’intreccio tra razzismo, odio e fakenews. «Quel nero non ha biglietto, linciamolo» Ma Trenitalia smentisce: la notizia è falsa

Un migrante, lunedi mattina, sale sul Frecciarossa 9608 da Roma a Milano. Non parla bene l’italiano e all’inizio mostra un biglietto non valido. Solo in seguito, in un luogo sottratto agli occhi degli altri passeggeri, trova e dà alla capotreno il titolo di viaggio giusto. L’italiano lo sa davvero male e non capisce ciò che gli viene chiesto. Questi i fatti. Ma per un passeggero, seduto davanti a lui, la realtà è un’altra e la scrive su facebook: quel ragazzo sta imbrogliando e la capotreno lo lascia fare. Il problema, secondo questo signore, è che in Italia, contro i migranti, non c’è certezza della pena. E stabilisce un’equazione tra il biglietto non pagato e l’uccisione ( ancora in fase di accertamento) di Pamela. «Parlano di integrazione. Di comprensione. Di accoglienza. Ci prendono per il culo e noi lo tolleriamo». In poche ore il post ( con la premessa: non sono razzista ma...) fa il giro di Facebook: 120 mila like, 75 mila condivisioni, commenti che trasudano odio.

I fatti sono invece quelli descritti inizialmente. Un collega della testata on line Giornalettismo contatta Trenitalia e chiede conto dell’accaduto. La risposta è secca e ha il valore di un “rapporto giurato”: il signore era in possesso del biglietto giusto, ma aveva sbagliato posto. Intanto la sua faccia aveva fatto il giro del web, sottoposto a una vera e propria gogna pubblica: al posto delle pietre like e commenti sprezzanti e violenti. C’è anche chi chiede di utilizzare le camere a gas. Si tratta di un caso da manuale che mostra l’intreccio, velenoso, tra razzismo, fakenews e social network.

ll signore che ha fatto il post, con tanto di foto del migrante, ha visto quello che voleva vedere, quello che le sue convinzioni personali gli suggerivano. Non ha verificato, ha visto una parte della scena e ha tratto le conclusioni che gli davano ragione. Ma il fatto più sconvolgente, anche se non desta sorpresa, è il successo che ha avuto la sua narrazione. Un fiume in piena di “mi piace”, condivisioni, insulti. Coloro che sono intervenuti per difendere il migrante o per criticare la modalità con cui è stata resa nota la storia sono stati, a loro volta, travolti da minacce e maleparole.

Si possono fare diverse considerazioni su questa vicenda. La prima riguarda il ruolo dei social network. Zuckerberg aveva promesso una strenua lotta alle fakenews annunciando un nuovo algoritmo che restringeva le interazioni alle persone più vicine e ai post di carattere personale. Evidentemente questi stratagemmi non bastano o non servono, se un post, con evidenti lati oscuri, viaggia on line con questa velocità e con tale diffusione. L’altra considerazione riguarda il ruolo che può avere l’informazione. Non è vero che il giornalismo è finito, che tutti sono fonte di informazione. Il lavoro del giornalista è ancora utile, per verificare le notizie, vagliarle, restituirle nella loro complessità. Non tutti lo fanno, ma il ruolo del giornalista quando viene svolto per bene è fondamentale.

La terza considerazione è quella più importante: riguarda l’intreccio tra hatespeech, razzismo e giustizialismo. Prendiamo di nuovo il post sul migrante. Il riferimento, del tutto sconclusionato, alla certezza della pena, non è casuale. Il giustizialismo si fonda su una serie di false notizie, che ripetute diventano realtà: nessuno paga, i delinquenti sono tutti fuori, il migrante è colui che commette reati. L’idea è quella di una società allo sbando, quando i dati del ministero dell’Interno parlano di una Italia sempre più sicura. Ma questo conta poco. La percezione è un’altra, alimentata quotidianamente per creare un clima di odio. Si spiega così il successo del post: 75mila condivisioni di un fatto che si è rivelato falso. Ma nonostante la smentita di Trenitalia molti di coloro che hanno applaudito, resteranno convinti che sotto c’è qualcosa, che quel migrante meritava di essere sottoposto a un processo pubblico. C’è un’ultima domanda che ci dobbiamo fare: come si è potuti arrivare a questo punto e come si può tornare indietro. Prima che sia troppo tardi.