«Non era mai accaduto che un partito mettesse in lista della gente e poi si vergognasse il giorno dopo. Gli impresentabili a questo giro li hanno messi i Cinquestelle». Matteo Renzi approfitta del caso scontrini per ribaltare le accuse pentastellate sugli “impresentabili” presenti nelle liste del Pd. L’autogol di Andrea Cecconi e Carlo Martelli, i due parlamentari accusati di non aver restituito la parte del loro stipendio destinata al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, è una boccata d’ossigeno per la propaganda renziana. E un colpo gobbo per Luigi Di Maio, che non pensava di dover affrontare una campagna elettorale in difesa sull’unico punto fermo del programma grillino: l’onestà. Il capo politico è furioso. E nonostante il passo indietro dei due “portavoce” - che sui loro profili Facebook hanno già annunciato le dimissioni in caso di elezione - il vicepresidente della Camera spinge il piede sull’acceleratore con i probiviri perché puniscano in maniera esemplare i colleghi “distratti”.

Un’onta del genere si può lavare solo con l’espulsione dal Movimento, è il ragionamento di Di Maio, pronto a sacrificare il suo amico Andrea Cecconi sull’altare della scalata a Palazzo Chigi. Bisogna capire, però, se il cartellino rosso sia un’opzione percorribile, perché sulle regole del Movimento pende sempre la mannaia di Lorenzo Borré, l’avvocato paladino degli espulsi, pronto a impugnare - se interpellato - i provvedimenti disciplinari dello Staff centrale. Il legale è convinto che Cecconi e Martelli non possono essere buttati fuori a causa dell’esistenza di diverse associazioni costituite negli ultimi nove anni e titolari a vario titolo del trattamento degli iscritti. «Considerato che Martelli e Cecconi sono stati eletti nell’attuale legislatura come portavoce dell’associazione M5S costituita del 2009 e che le omissioni che gli vengono contestate riguardano un periodo anteriore alla costituzione del nuovo omonimo partito, sarebbe opportuno - prima di adottare eventuali provvedimenti disciplinari - ri- leggere la recente sentenza del Tribunale di Roma sul caso di Roberto Motta», spiega l’avvocato Borré. I giudici hanno infatti stabilito che «non è possibile sanzionare un associato per fatti anteriori alla costituzione del vincolo associativo né ciò può farsi in forza di un regolamento/ statuto entrato in vigore successivamente a tali fatti», precisa il legale. Dunque, «considerato che sia i due parlamentari che i probiviri hanno verosimilmente aderito al partito blogdellestelle. it successivamente al 30 dicembre 2017, non si vede come possano essere irrogate sanzioni disciplinari per fatti asseritamente commessi prima che si iscrivessero al partito suddetto e addirittura prima che il partito fosse costituito».

Ma il leader pentastellato non si farà di certo intimorire dalla minaccia di nuovi ricorsi. Luigi Di Maio non concepisce ostacoli sul suo cammino e per parare i colpi prova ad arruolare il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. «Rilanciamo l’appello del procuratore nazionale antimafia De Raho, che ha detto non votate per le forze politiche che hanno dentro gli impresentabili», dice il capo politico, «perché siamo l’unica forza politica che non ha impresentabili nelle liste e ha dei regolamenti molto stretti che non permettono neanche ai condannati in primo grado di candidarsi». È la linea difensiva che nel corso della giornata verrà ripetuta da vari colonnelli grillini: Carla Ruocco, Giulia Sarti e Vittorio Ferraresi. Il capo dell’antimafia ha dato «uno schiaffo ai vecchi partiti», insistono.

Il segretario del Pd però non ha alcuna intenzione di lasciar correre sullo scivolone pentastellato e contrattacca. «Gli impresentabili sono loro, poi ce n’è uno che tecnicamente non si presenta: mi riferisco a Di Maio, che è come quel compagno di scuola che diceva nell’intervallo ti aspetto fuori, tu scendi e non c’è!», ironizza Renzi. «Di Maio è stato presente alla Camera il 30 per cento delle volte, ed era pure vice presidente. Ridicolo. L’altro vice presidente Giachetti ha l’ 89 per cento delle presenze, questa è la differenza di come si intendono le istituzioni. Io metterei pure la regola che chi ha il 30 per cento di presenze prende il 30 per cento dello stipendio».