Sul palco c’è Miranda Ratti, moglie di Marcello Dell’Utri. Parla con voce tremante, ma ha le idee chiare: «Qui in sala ci sono rappresentanti della magistratura: alcuni di loro sembrano inibiti dalla paura, nell’applicare un diritto come quello dei detenuti alla salute». Si riferisce alla vicenda ( di cui si dà conto anche in altro servizio del giornale, ndr) del cofondatore di Forza Italia, al quale i giudici impediscono di curarsi. Ma forse senza saperlo, la signora Dell’Utri va al cuore delle questioni sollevate dall’Inaugurazione dell’anno giudiziario dell’Ucpi: la Costituzione disattesa o attuata solo in parte, per via della «paura», e dell’ipocrisia, della politica. Non è un caso dunque che la due giorni dei penalisti in corso dai ieri a Firenze si apra con la sua intervista, affidata al direttore del Tempo Gian Marco Chiocci.

Paura, opportunisno e ipocrisia: sarebbero questi i freni che dissuadono dal dare piena attuazione alla “giustizia dei principi e delle garanzie” evocata nel titolo dell’incontro. Lo denuncia l’Unione Camere penali, lo spiega Glauco Giostra, il professore che ha coordinato i “tavoli” degli Stati generali del carcere, nel primo dei tre dibattiti, dedicato alla riforma penitenziaria: «Basteranno i decreti attuativi, ancora incompleti, a inverare compiuta- mente l’articolo 27, il fine rieducativo della pena? Perché il percorso è così lento e faticoso? Forse», dice Giostra, «per quello che scriveva Christa Wolf: ‘ Non c’è menzogna tanto grossolana a cui la gente non creda se viene incontro al suo segreto desiderio di crederci’.

Che per analogia», nota il giurista, «nel caso della politica può tradursi così: ‘ Non c’è menzogna che la politica non pratichi se viene incontro al suo bulimico desiderio di consensi’ ». È chiaro come le ritrosie nel riconoscere dignità all’esecuzione penale siano il caso più lampante, come ricordano anche la dirigente radicale Rita Bernardini, da 12 giorni in sciopero della fame, e il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick, che nota come in materia penitenziaria si rischi di tradire anche l’articolo 3: «Il sovraffollamento degli istituti è uno degli ‘ ostacoli di ordine sociale’ che limitano l’eguaglianza dei cittadini sancita dal principio costituzionale».

Ma l’Unione presieduta da Beniamino Migliucci fissa anche altre due priorità, come spiega il segretario Francesco Petrelli in apertura. La prima: «Se la riforma penitenziaria fatica a concludersi ce n’è una attuata, quella delle intercettazioni, che per un dettaglio marginale ha finito per colpire il diritto alla difesa». Le nuove norme sugli ascolti sono oggetto della seconda tavola rotonda, in cui poco dopo si confrontano tra gli altri il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte e l’avvocato della giunta Ucpi che più ha seguito il dossier, Rinaldo Romanelli. L’altra riforma ricordata da Petrelli ( e di cui si parlerà stamattina) è «quella che ha impegnato le Camere penali nella raccolta delle firme e che mira a dare attuazione al principio del giudice terzo sancito dall’articolo 111: la separazione delle Carriere». Entrambi i temi, intercettazioni e ordinamento dei magistrati, riguardano la parità delle parti nel processo: il principio alla cui tutela saranno dedicate oggi le conclusioni di Migliucci.

Spingere la politica a frequentare i territori dal consenso meno scontato: è questa la missione scelta ancora una volta dall’avvocatura. Obiettivo raggiungibile «con l’unità di tutte le componenti», come spiega il vertice dell’Ordine di Firenze Sergio Paparo: «Non c’è Andrea Mascherin ( «bloccato dalla febbre», come riferisce Migliucci nel leggere un messaggio del presidente del Cnf), ma è un dato che così come si rafforza sempre più la sinergia tra Consiglio nazionale Forense e Unione, la stessa cosa avviene nelle singole realtà fra Ordini e Camere penali: tutti uniti nel promuovere un’interlocuzione con la politica che non è solo protesta».

CASSANO CONTRO I PM

Ma il dialogo forse più prezioso sembra quello che l’avvocatura, anche qui a Firenze, consolida con i magistrati: lo testimonia la presidente della Corte d’Appello Margherita Cassano. È sua la testimonianza più forte di quanto l’impegno degli avvocati per il giusto processo sia indispensabile. Premessa: «Voi avvocati e noi magistrati possiamo condurre un lavoro congiunto: soprattutto per fare in modo che il diritto penale non sia piegato alle esigenze populistiche del momento, all’ansia di inseguire questa o quella parte di opinione pubblica». Arriva quindi un cahier de doléances che potrebbe essere sottoscritto dall’intera Ucpi: «La necessità di superare la tendenza a dare risposta ai problemi sociali attraverso nuove, continue fattispecie penali, o nuove possibili sanzioni. La pretesa», incalza Cassano, «di dover ricorrere in giudizio per la tutela di ogni tipo di interesse». Ma la presidente della Corte d’appello di Firenze sposa in pieno le tesi dell’avvocatura, in materia di riforma del processo, quando rivolge una coraggiosa critica ai propri colleghi: «È inutile parlare della prescrizione se non riflettiamo sulla vera origine del problema: il mancato rispetto dei tempi delle indagini. Non è un atto d’accusa nei confronti dei pubblici ministeri», dice Cassano, «sono stata anch’io un magistrato requirente, ma richiamo qui la sollecitazione, rivolta a tutti i magistrati del distretto di Firenze, sulla necessità che l’azione del pm sia orientata da un principio di sostenibilità». Sui tempi della prescrizione, l’avvocatura penale non è riuscita a veder accolto dal Parlamento il proprio punto di vista, e nella riforma del processo è sopravvissuta più di un’abnormità. Ma il fatto che la magistratura lo riconosca è segno che l’obiettivo di una Costituzione finalmente compiuta non è una chimera.