Il Consiglio superiore della magistratura ha individuato il responsabile della “lista Bellomo”, ovvero l’ormai celebre richiesta avente ad oggetto: «Monitoraggio sui corsi di preparazione al concorso di magistratura» . La nota, come si ricorderà, era stata inviata dal Csm il 25 gennaio ai presidenti di Corte d’appello e ai procuratori generali per accertare le modalità con cui le toghe entrate in servizio nell’ultimo decennio avessero svolto la preparazione per l’esame in magistratura. Al termine della discussione durata per l’intero Plenum di questa settimana il “colpevole” è stato trovato nel funzionario amministrativo della Sesta Commissione, competente sull’ordinamento giudiziario. La Commissione, nel pieno delle polemiche sulle scuole di preparazione ai corsi in magistratura, aveva deciso all’inizio di gennaio di approfondire le modalità di accesso e selezione dei magistrati. Ci si chiedeva, senza mai citarlo direttamente, se chi ad esempio pur di vincere il concorso avesse accettato di sottostare al famoso “dress code” imposto nei corsi di “Diritto e Scienza”, la società di Bellomo, si sarebbe poi rivelato un magistrato terzo e indipendente. Oppure se sarebbe stato facilmente condizionabile con grave pregiudizio per la giurisdizione. Le polemiche erano esplose perché alla nota era stato allegato un format finalizzato a una raccolta in modo uniforme delle informazioni richieste. Una sorta di ' schedatura' di massa, secondo molti magistrati che si erano scatenati sui forum associativi e che aveva visto l’intervento dell’Anm per ' stoppare' l’iniziativa. Fra le varie domande da porre alle toghe, ad esempio, questa: «Era prevista la sottoscrizione di contratti aventi ad oggetto modalità esulanti da corrispettivi? » Secondo la ricostruzione ufficiale del Csm, dopo una prima riunione della Commissione, «il funzionario di seduta aveva maturato la convinzione che l’iniziativa di un questionario fosse stata approvata e riteneva perciò di dovere dare attuazione a una delibera già assunta». Dopo essersi consultato con il consigliere Aldo Morgigni, proponente dell’iniziativa, «provvedeva a delineare i testi delle domande che poi utilizzava per la realizzazione del questionario. Una volta confezionato il questionario provvedeva quindi a inserirlo nel protocollo per la sua diffusione». Il tutto «senza informare di ciò né il consigliere Morgigni né alcun altro consigliere o la Presidenza della Commissione».

Il problema, però, consiste nel fatto che né era stata assunta nessuna delibera in proposito e né alcuna attività istruttoria collegata alla distribuzione di un questionario. Il funzionario, dunque, avrebbe fatto tutto da solo. La spiegazione istituzionale non ha convinto molti consiglieri. «Mi rifiuto di accreditare questa ipotesi su chi non può difendersi», ha dichiarato il laico Giuseppe Fanfani ( Pd). Piergiorgio Morosini, togato di Magistratura democratica, ha ricordato che in Commissione non si è mai parlato di «un questionario», non comprendendone l’utilità visto chi i dati sui corsi frequentati per il concorso sono disponibili presso la Scuola superiore della magistratura in forma anonima.

Perplessità sono state espresse anche da Antonio Leone ( Ap) e Lucio Aschettino ( Md). Il togato di Magistratura indipendente Claudio Galoppi ha chiesto l’accesso a tutti gli atti che hanno riguardato questa pratica. Il problema, però, è che trattandosi di atti endoprocedimentali sono coperti dal segreto. Cosi stabilisce il regolamento del Csm. E calerà il sipario su questa vicenda che, come ha detto il vice presidente Giovanni Legnini, lascia aperti tanti «interrogativi».