I giudizi sono unanimi: il risultato elettorale resterà incerto fino al voto. Il sistema elettorale in scena il 4 marzo è inedito e potrebbe innescare processi ( e risultati) imprevedibili. L’area dell’incertezza è tanto ampia ( 37%) da poter sconvolgere qualsiasi previsione. Come si orienterà quest’area? Chi premierà? Alla fine in quanti andranno a votare?

Gli interrogativi si moltiplicano nel Mezzogiorno e in Calabria. Qui l’incertezza è più alta e l’astensionismo rischia di arrivare alle stelle. Non c’è il radicamento del nord- est con le percentuali altissime della Lega. Né siamo l’Italia rossa del Centro. Gli orientamenti che scuotono l’Europa e il mondo ancor più e ancor prima che per classi e ceti sociali sembrano incardinarsi per territorio. Il Medwest “arretrato” ha strappato le ali alla Clinton per far volare Trump. L’Inghilterra sofferente del Nord ha determinato la Brexit. La Germania orientale ed comunista ha indebolito la Merkel e i socialdemocratici tedeschi sposando suggestioni hitleriane. Territori contro. Hanno utilizzato il voto come strumento di vendetta sociale perché lasciati indietro dalle parti più dinamiche dei loro paesi.

Il Mezzogiorno italiano negli ultimi dieci anni ha conosciuto una crisi più pesante di quella dell’intero paese. Le rielaborazioni dei dati Istat fotografano un Sud che dieci anni fa aveva sei milioni e mezzo di occupati e ora, in ripresa, è ancora inchiodato a sei milioni. Mentre i due milioni e mezzo di disoccupati di 10 anni fa sono esplosi fin tre milioni e mezzo. Il Sud avverte di non essere stato scelto da nessuno come protagonista per la ripresa e l’uscita dalla crisi. Peserà tutto questo e quanto sul voto?

L’impressione è che nessuna delle proposte politiche presenti nel paese sia in grado di spiccare il volo a Sud. Il M5s, dicono i sondaggi, riesce solo in parte a captare il disagio. L’impostazione e la sensibilità ligure e nordista del movimento non s’è mai sbilanciata sui problemi del Sud. Di Maio è meridionale, come il Dibba, ma il cuore del duo Casaleggio-Grillo ha sempre battuto da un’altra parte. Difficile capire se qualche foglia di fico potrà nasconderlo. Sicilia a parte, le performance dei 5s successive al 2013 non sono mai state “esagerate” nel Mezzogiorno. Il Cdx è dato in crescita a Sud ma neanche lui “esagera”. Gli gioca contro, forse, il peso non sottovalutabile della componente leghista, cioè di una tradizione che fino non molto tempo fa affidava all’Etna e al Vesuvio ( forza Etna, forza Vesuvio) la soluzione ( veramente definitiva) del della questione meridionale, a partire dalla scomparsa dei suoi cittadini. Pubblicità? Battute? Certo, sarebbe un’idiozia pensare che veramente i leghisti abbiano sperato in eruzioni vulcaniche capaci di pietrificare tutti i meridionali. Ma tutte le cose che accadono lasciano il segno. E’ vero: in passato il Cdx ha vinto e stravinto a Sud alleato con la Lega. Ma B. aveva inventato l’alleanza differenziata: al Nord ( con la Lega) e al Sud ( con An) tra loro non alleati. E quando l’alleanza diventò ( solo formalmente) organica, i rapporti di forza al suo interno erano tali per cui Fi era quattro volte più forte e più visibile della Lega che ora, invece, è in competizione per la conquista del primo posto. Il pensiero di Salvini capo del governo provoca la pelle d’oca ai meridionali.

Il Pd è al governo da cinque anni e governa tutte le Regioni meridionali. Ma questo non ha significato un exploit di questa parte dell’Italia. I governi diretti da Letta, Renzi e Gentiloni sostengono di aver fatto scelte importanti a favore del Sud. Ma il meccanismo fondamentale del dualismo non è stato non dico risolto ( che sarebbe in cinque anni pretesa fuori dal mondo) ma neanche seriamente intaccato. Non vi è stata tra i meridionali la percezione di un cambiamento o almeno di un consistente tentativo in questa direzione.

Cosa accadrà quindi al Sud? Il territorio si vendicherà o troverà rifugio nell’astensionismo?

Un altro elemento pesa. Le classi dirigenti italiane, politici e non solo, non credono, se non con mille riserve e mai fino in fondo, che sia possibile scommettere sul Mezzogiorno. Cresce nel paese, paradossalmente a partire dal Sud, il convincimento che non ci sia più niente da fare.

Il fenomeno che s’è trasformato in un vero e proprio “teorema del mezzogiorno” poggia sull’inconfessato ma corposo convincimento che l’Italia possa fare a meno di risolvere il dualismo ( ormai unico caso nella fascia europea di cui facciamo parte). Quando il grasso cola si può in qualche modo accontentare il Sud, quando non cola peggio per loro. Non è lontano il tempo in cui il ministro Tremonti ( sempre filoleghista) rilanciò l’antico mantra del “Sud palla al piede del paese” per giustificare i fallimenti di tutte le strategie di ripresa sotto Roma.

Dal “teorema mezzogiorno” muovono le proposte generiche che emergono nel dibattito elettorale. Una miriade di microtargeting ( proposte per catturare segmenti anche minori di elettorato tenendo conto di aspettative e paure) mentre a sud s’irrobustisce l’esodo di giovani e competenza verso Nord e il resto del mondo. Non c’è traccia, da parte di nessuno dei tre maggiori schieramenti, di un progetto o uno sforzo specifico per questa parte dell’Italia.

Eppure non è difficile immaginare che se le cose continueranno ad andar così prima o poi arriverà il momento della vendetta. Per scansarla c’è un solo modo: cancellare quei tre milioni e mezzo di disoccupati che affollano il Sud. Ma per farlo serve un progetto e la voglia di realizzarlo.