Una corte d’appello brasiliana ha condannato a dodici anni di carcere Luis Iniacio Lula, l’ex presidente del Brasile, leader indiscusso del Pt, cioè del partito dei lavoratori del più grande paese dell’America Latina. Lula ha governato il Brasile dal 2003 al 2010, realizzando una politica riformista di tipo socialdemocratico. Ha trasformato profondamente il Brasile, dimostrando la sua statura di statista. Poi ha lasciato perché non poteva candidarsi per un terzo mandato e ora, dopo otto anni di intervallo, era pronto a rientrare in lizza. Tutti i sondaggi lo davano come sicuro vincitore delle elezioni in programma per ottobre. Ora invece rischia di essere incandidabile, e addirittura da un momento all’altro potrebbe essere arrestato. È accusato di un reato fantasma. Corruzione, perché una impresa privata, in cambio di alcuni favori in alcuni appalti, gli avrebbe regalato un appartamento sul litorale vicino a San Paolo. Ma quell’appartamento non risulta essere suo. L’ipoteca dei magistrati sul governo del Brasile

L’accusa si basa esclusivamente sulla testimonianza di un dirigente di questa impresa, che era stato condannato a dieci anni di galera e dopo le accuse a Lula ha visto la pena ridotta a tre anni. Non esiste neppure uno straccio di documento che prova che quell’appartamento sia di Lula. Nemmeno una carta privata, una dichiarazione di intenti, o qualche intercettazione, un sms, una email. Zero. Lula ha dichiarato cento volte che non è suo e non era della moglie. Perché in realtà il testimone d’accusa sostiene che l’appartamento fu dato alla moglie. Che nel frattempo è morta. Nessuno ha mai visto né la signora né l’ex presidente mettere piede nell’appartamento, e al catasto l’appartamento risulta non loro.

Quello contro Lula non è stato un processo indiziario: molto meno. È stato un tipico processo nel quale l’unica cosa che conta è il sospetto dei Pm. I Pm - che hanno messo da anni sotto assedio il Pt, e hanno realizzato decine di arresti eccellenti - sono convinti che Lula fosse alla testa di un’organizzazione illegale. E che ne abbia tratto vantaggio. Non hanno trovato però nessun delitto specifico. Neppure generico. E allora hanno puntato su quell’appartamento, e sulla testimonianza di un pentito. Riscontri zero virgola zero. Prove a discarico ignorate.

Il principale accusatore di Lula è un certo giudice Sergio Moro. Il quale più volte ha dichiarato di avere studiato e ristudiato la Tangentopoli italiana. Ha letto molto gli scritti di Di Pietro. Lo ha detto lui. Ha incontrato varie volte Piercamillo Davigo, che è andato personalmente in Brasile per addestrare i Pm brasiliani. In effetti i concetti alla base di questa inchiesta sono assolutamente davighiaiani. Il principio è quello: «Sei un politico? Dunque delinqui».

L’inchiesta della “Mani pulite” brasiliana già ha portato alla destituzione della presidente che aveva preso il posto di Lula nel 2010, e cioè Dilma Rousseff ( anche lei del Pt). Sostituita dal suo vicepresidente, che però non è del Pt e governa con la destra. Nessuno lo ha eletto.

Il colpo portato dai magistrati al Pt ha già avuto i suoi risultati: la politica riformista si è fermata, è tornata a imperare la vecchia linea liberista. Però gli esperti dicevano che sarebbe durata poco, perchè Lula aveva già la certezza di vincere le elezioni del prossimo ottobre. Ora questa certezza non c’è più. La situazione è molto confusa, ma sembra che sarà la Corte suprema a decidere se Lula può o no essere arrestato e se può o no correre per le presidenziali. C’è una legge del 2008, una specie di “Severino brasiliana” ( si chiama Ficha Limpia, fedina pulita), che dice che non può presentarsi, ma molti costituzionalisti sostengono il contrario.

Vedremo. Quel che è certo è che ci troviamo di fronte a una situazione molto simile a quella che si verificò in Italia un quarto di secolo fa. Con un gruppo di Pm che esautora la politica, cancella il potere delle elezioni. Decide chi deve governare e in sostanza decide anche la linea economica e sociale. Questo gruppo di Pm ha ormai quasi demolito il Pt, cioè il più importante partito di sinistra democratica di tutto il continente americano. O comunque è molto vicino alla sua demolizione.

L’unica possibilità che questo non avvenga, possibilità esile esile, è che Lula resista, riesca ad andare al voto e vinca in modo consistente. Forse solo così la magistratura brasiliana si troverebbe in difficoltà. Sarebbe costretta ad arretrare.

Del resto, sebbene con attori molto diversi, in Italia, Tangentopoli aprì la strada al ventennio berlusconiano ( eterogenesi dei fini!). In Italia però sono ancora robuste le conseguenze della rivoluzione del ‘ 92. I rapporti di forza tra magistratura e politica ( e democrazia) si sono ribaltati a favore della magistratura. Che oggi ha un potere vastissimo, e tiene in pugno la politica, e condiziona e limita la democrazia. Del resto anche qui il leader che viene indicato come il più forte dai sondaggi, e cioè Berlusconi, non può presentarsi alle elezioni perché così ha deciso la magistratura.

Anche negli Stati Uniti, seppure in forma ancora molto embrionale, sta succedendo qualcosa del genere: i democratici sembrano affidare tutte le loro strategie di opposizione alla speranza che la magistratura fermi le scelte di Trump, e magari avvi l’impeachment. È un fenomeno internazionale, molto scivoloso. Perché se procedesse cambierebbe i connotati della democrazia liberale.