Se dici maiala a una signora che è stata fucilata 72 anni, sei molto spiritoso? Io non credo. Sto parlando del comico Gene Gnocchi, che l’altra sera, in Tv, ha usato questo termine, scherzosamente, per definire Claretta Petacci, l’amante di Benito Mussolini.

Dico subito che considero l’antifascismo un valore, nella cultura politica italiana. Ho sempre pensato che l’antifascismo sia fondato su alcuni principi essenziali: la tolleranza, l’amore per la libertà, il rispetto degli altri soprattutto delle minoranze e degli sconfitti - il diritto. Si chiama antifascismo proprio per questo: perché la tragedia del fascismo fu esattamente quella di avere negato quei grandi principi della civiltà che sono la tolleranza e la libertà. Che c’è da ridere se ti dico: «Maiala» ? Al di fuori della tolleranza non esiste l’antifascismo, ma invece esiste qualcosa che assomiglia molto a quello che è stato il fascismo.

Svolgo questo ragionamento sperando di non offendere nessuno. E perché credo che sia un ragionamento attuale. Molto attuale. Da un po’ di tempo siamo costretti a misurarci di nuovo con il tema della tolleranza, che è stata travolta dal linguaggio dell’odio, dal trionfo delle appartenenze, dal giustizialismo. Si è invertito, di fronte all’opinione pubblica, lo stesso valore delle parole e delle espressioni. La parola tolleranza, come idea positiva, è stata sostituita da suo contrario: tolleranza zero. E la stessa parola “bontà”, che un tempo aveva un valore edificante, è stata rovesciata in “buonismo”, sostantivo che indica cedimento, debolezza, forse persino tradimento.

Su questo giornale ci siamo occupati molto, nei mesi scorsi, del linguaggio dell’odio e della cultura dell’odio. In particolare nei giorni nei quali su questo tema - a Roma, alla fine dell’estate - si è svolto un convegno internazionale organizzato dalle avvocature dei paesi del G7.

A me preme dire che il linguaggio dell’odio è il linguaggio dell’odio. Punto. Non ha colore politico. Ed è lo strumento con il quale tutti i populisti cercano di resistere all’avanzata della civiltà, della modernità, del diritto.

Le parole usate da Gene Gnocchi rientrano pienamente nel linguaggio dell’odio. Non vale niente l’osservazione che Gnocchi è un comico, e quindi fa satira, e la satira è satira e non ha limiti e non ha correttezza. La satira ha un formidabile valore e una grandissima potenza nella battaglia culturale. E può spingere la cultura e il senso comune in una direzione o nella direzione opposta. Proibirla è una follia, criticarla ( e qualche volta anche indignarsi per la sua volgarità) è legittimissimo. Gene Gnocchi si è presentato l’altro ieri sera alla trasmissione “Di Martedì”, sulla Sette ( quella condotta da Marco Travaglio e che ha ospite quasi fisso Giovanni Floris), ha mostrato la foto di un maiale che cerca cibo tra i cassonetti dei rifiuti a Roma ( è una foto più volte usata da Giorgia Meloni per polemizzare contro la sindaca Raggi) e ha detto che quel maiale è una maiala e ha un nome e un cognome: Claretta Petacci.

Penso che tutti sappiate chi è la Petacci. È la figlia di una famiglia piuttosto potente della borghesia romana, che da giovanissima, e cioè quando aveva 20 anni, si innamorò di Benito Mussolini e intrecciò con lui una storia d’amore che durò 13 anni. Cioè durò fino a quel fatale 28 aprile del 1945 nel quale Mussolini, che era stato catturato il giorno prima a Dongo mascherato da soldato tedesco, mentre cercava di espatriare in Svizzera, fu fucilato. L’esecuzione avvenne in una località di campagna, Giulino di Mezzegra, in Lombardia. Insieme all’ex duce fu arrestata anche Claretta, che gli era restata al fianco, mentre i Petacci si erano messi al sicuro in Spagna, ma lei si era rifiutata di seguirli. Sul capo di Mussolini pendeva la condanna a morte pronunciata dal Clnai, l’organismo di governo della Resistenza. La sentenza fu eseguita da tre partigiani del Pci, Walter Audisio, Aldo Lampredi e Michele Moretti. Fucilarono Mussolini e fucilarono anche Claretta. Il giorno dopo, i cadaveri di Mussolini e della Petacci furono portati a Milano, in piazzale Loreto, insieme ai cadaveri di altri gerarchi ( tra i quali quello di Alessandro Mussolini, segretario del partito fascista) che erano stati catturati insieme a Mussolini e poi fucilati a Dongo. A piazzale Loreto, qualche mese prima ( in agosto) i fascisti avevano fucilato 15 partigiani e poi li avevano appesi ai lampioni. Quel giorno, il 29 aprile, ci fu il contrappasso: i corpi dell’ex duce, dei gerarchi, e anche quello di Claretta, furono appesi per i piedi alla pensilina del distributore della Esso. Certamente fu una delle pagine meno solari della Resistenza.

Contro Claretta Petacci non c’era nessuna sentenza. Né del Clnai e tantomeno di un regolare tribunale. Fu fucilata lo stesso. Forse per eccesso di zelo, forse perché fu lei che si gettò sul corpo dell’uomo che amava, per proteggerlo.

Claretta Petacci non fu mai una donna di potere, non fu una gerarca, non ebbe incarichi politici, non è responsabile in nulla e per nulla degli errori e dei delitti del fascismo. Leggendo le sue carte si possono anche trovare frasi che testimoniano un fanatismo che oggi fa paura. Così come fa paura il fanatismo di chi decise di impiccarla per i piedi, e il fanatismo della folla che urlava e sputava sui cadaveri. Ma io non credo che in nessun modo questa circostanza giustifichi, 72 anni dopo, l’oltraggio gratuito contro la sua memoria, peraltro del tutto immotivato.

Non credo che la battuta di Gene Gnocchi abbia niente a che fare con la comicità. Se ti dico che sei un porco, ti sto insultando, non ti sto prendendo in giro. È preoccupante, secondo me, proprio questa situazione: l’ingiuria, l’odio, la rabbia, il disprezzo che diventano strumento di satira, e cioè sono proposti al pubblico della televisione con naturalezza come pacifico elemento di divertimento.

L’incattivimento dell’opinione pubblica, il trionfo dell’odio come sentimento popolare - o addirittura come giusto sentimento di rivolta o di riscatto - nascono e si rafforzano proprio qui: nella loro normalizzazione. Gene Gnocchi alla volte è molto spiritoso. A volte meno. La sua abitudine a dissacrare è apprezzabile. Quella dell’altra sera, francamente, è stata una pessima performance.