Populisti ma anche impopolari. Sta tutta in questa anomalia la peculiarità di Potere al Popolo, la lista di “sinistra sinistra” che spera di poter dare filo da torcere a Pietro Grasso e compagni alla prossima tornata elettorale. Già, perché mentre quasi tutti i partiti inseguono il Movimento 5 Stelle sulla retorica dell’onestà e della galera, la sinistra radicale è l’unico soggetto politico con un “programma giustizia” controcorrente. Gli antagonisti di PotPol chiedono infatti «l’abolizione dell’ergastolo e del 41 bis, e l’emanazione di un provvedimento di amnistia che risolva il problema del sovraffollamento carcerario». Solo Marco Pannella avrebbe potuto osare tanto, ma i sostenitori del progetto sono convinti di aver scelto il percorso giusto. «Se avessimo fatto delle mediazioni al ribasso il senso dell’operazione Potere al Popolo sarebbe venuto meno», dice Gianluca Schiavon, responsabile Giustizia di Rifondazione comunista ( tra i partiti che hanno aderito al soggetto concepito dal centro sociale napoletano ex Opg - Je sò pazzo).

E invece di mediare al ribasso, la sinistra radicale rilancia, proponendo persino l’abolizione del carcere duro per i mafiosi. «Sia chiaro», spiega Schiavon, «mi rendo perfettamente conto che alcuni reati debbano essere perseguiti in modo più severo, e l’impegno contro le mafie rientra tra le nostre priorità, però non si può far finta di niente sulla disumanità di certi trattamenti». Del resto, «non tutti i detenuti al 41 bis sono Totò Riina. Ma il problema più grande è che un istituto concepito come emergen- ziale si è trasformato in qualcosa di ordinario». Gianluca Schiavon rivendica una posizione che, dice, contraddistingue da sempre Rifondazione comunista, che già nel 2006 depositò alla Camera una proposta di legge – primo firmatario Franco Giordano – per abolire l’ergastolo. Il programma “giustizia” di Potere al Popolo prosegue dunque su un solco già tracciato, arricchito dal sostegno dei centri sociali e del mondo sindacale di base. «Migliaia di persone, negli ultimi anni, si sono trovate colpite da procedimenti penali o misure di polizia perché lottavano per il diritto all’abitare, al lavoro, alla salute, allo studio, per il rispetto dell’ambiente e del territorio», sta scritto sul programma “di classe” della sinistra alternativa. «La “legalità” ha colpito chi lottava per la giustizia sociale. Invece del riconoscimento politico delle rivendicazioni, la risposta dello Stato e della stessa magistratura è stata solo repressiva».

Ma non può esistere alcun soggetto di sinistra senza differenze di visioni a volte anche laceranti. E PotPol non fa eccezione. Perché non tutti hanno gradito l’apertura libertaria in tema di pene. È il caso della rumorosa minoranza del Pci - sì, non è un errore di distrazione, il Partito comunista italiano esiste di nuovo, è stato rifondato nel 2016 - capeggiata da Michelangelo Tripodi, responsabile nazionale delle Autonomie locali e delle politiche per il Mezzogiorno. Il dirigente comunista, fin dal principio ostile all’adesione del suo partito alla lista unitaria, non ha affatto digerito un programma giustizia in cui non si riconosce affatto. «Io sono un uomo del Sud», dice, «e sinceramente mi sembra molto complicato andare in Calabria e in Sicilia a proporre in campagna elettorale l’abolizione del 41bis per i mafiosi». Per Tripodi, erede della sinistra cossuttiana, il rischio più grande è essere fraintesi dall’elettorato. «È come se noi cedessimo alle richieste contenute nel “papello” con cui la mafia voleva a intavolare una trattativa con lo Stato», spiega.

Più che pareri diversi, sembra che dentro PotPol convivano anime antitetiche. L’importante è non scindersi prima di nascere.