Oh, il giornalismo d’inchiesta! Sempre allerta. Magari arriva sulla notizia tre mesi dopo. Ma si indigna con prontezza...

La storia è questa: un ex poliziotto, che probabilmente ebbe delle responsabilità nella famosa “macelleria cilena” compiuta a Genova dalla polizia durante il G8 del luglio 2001, è stato nominato numero due dell’Antimafia. Perché? Perché pare sia un investigatore molto bravo, che abbia una grande esperienza nella lotta alla mafia e fantastiche doti professionali. È giusto assegnare un incarico così importante ad una persona che è stata giudicata colpevole dalla magistratura e condannata in via definitiva a quasi quattro anni di carcere ( di cui tre cancellati dall’indulto)? È una questione molto complicata. Il poliziotto del quale stiamo parlando si chiama Gilberto Caldarozzi, fu considerato responsabile per aver firmato dei verbali nei quali si raccontava di alcune bottiglie molotov trovate nella scuola Diaz ( dove i poliziotti irruppero e fecero un massacro ferendo gravemente e poi arrestando decine di persone) mentre in realtà quelle bottiglie erano state portate lì dalla stessa polizia per giustificare la propria azione violenta. Noi non sappiamo se Caldarozzi ebbe o no responsabilità in quella truffa, però sappiamo di sicuro che ha scontato la pena. E non è più interdetto. Per qualunque altro cittadino pretenderemmo il diritto a tornare a pieno titolo e a pieni diritti nella vita civile e anche al suo lavoro. In questo caso però è forse necessaria una cautela maggiore: può un poliziotto che si è comportato male con lo Stato, tornare ad assumere un incarico nel quale assume responsabilità delicatissime ( e potere) nei confronti degli indagati, e cioè dei cittadini? Il giornalismo d’inchiesta pronto a scattare sulla notizia!

Per ora lasciamo la domanda senza risposta per occuparci di un aspetto marginale di questa vicenda. ( Mica tanto marginale...).

Lo scandalo Caldarozzi è stato sollevato il 24 dicembre da “ Repubblica“ e ripreso ieri, con grancassa, dal “ Fatto“ e da altri quotidiani. La nomina di Caldarozzi invece era stata decisa in settembre, cioè tre mesi fa, annunciata e anche scritta nero su bianco su alcuni giornali tra cui il “ Sole 24 Ore“.

Nessuno se ne è accorto. Gli occhiuti giornalisti giudiziari, di tutti i giornali, non hanno nemmeno mosso un ciglio, in settembre. Perché?

Ecco, questo è il punto. Come funziona, nel 2017, il giornalismo giudiziario italiano? Ve lo dico io. Un buon giornalista giudiziario la mattina a una certa ora deve andare ad appostarsi dietro la porta di un Pm ( e deve stare attento a scegliere quello giusto), e aspettare. Se il Pm è buono, o se ha voglia di fare una buona figura sui media, prima o poi gli darà qualche notizia riservata, gli dirà chi è il colpevole, e cosa deve scrivere, e quali sono i sospetti e - probabilmente - gli concederà di trascrivere un po’ di intercettazioni. Se ciò non avviene, non c’è notizia.

Il vero giornalista d’inchiesta però è un passo avanti al normale cronista giudiziario. Lui non deve fare la fatica di andare all’ufficio del Pm. Sarà il Pm ad avvertirlo e a fargli avere le carte. Questa è la differenza tra un buon giornalista giudiziario e un giornalista d’inchiesta.

E quando si svolge il processo, cosa fa il giornalista? Se ne frega, lo svolgimento del processo è considerato dalla stampa italiana un evento minimale rispetto alla vera vicenda giudiziaria che si svolge prima del rinvio a giudizio.

Non esiste nessun’altra via per avere le notizie. E così nessuno si accorge di Caldarozzi, ma tutti, immediatamente, sono pronti ad indignarsi per la nomina di Caldarozzi. Perché il vero compito del giornalismo giudiziario, non è quello di scoprire le notizie, ma quello di indignarsi a comando di un Pm.

Come è uscita fuori, stavolta, la notizia di Caldarozzi? Vabbè, non ci crederete: è uscita da una informazione contenuta in una mail inviata da un Pm a una mailing list di altri Pm di Magistratura Democratica. Cioè, anche in questo caso, la fonte è sempre la stessa: la Procura.