Se la riforma dell’ordinamento penitenziario è arrivata in questa legislatura, lo si deve anche allo sforzo inesauribile del Partito Radicale e di Rita Bernadini che con continui solleciti al governo e con costanti digiuni di dialogo – anche pericolosi per la salute della dirigente radicale –, insieme con altri esponenti radicali come Deborah Cianfanelli, sono riusciti ad incassare questo risultato.

In extremis, o come ha scritto lei in “zona Cesarini”, il governo ha approvato i decreti attuativi della riforma dell’ordinamento penitenziario. Meglio tardi che mai.

In molti non ci credevano. Credo che sia stato vincente il modo che ci ha insegnato Pannella nell’agire politico: comportati “come se” il risultato sia stato già raggiunto e vedrai che la realtà intorno a te cambia nella direzione che auspichi. È una questione di convinzione.

Quali gli aspetti positivi del provvedimento?

Posso rispondere solo per grandi linee perché i testi ancora non si conoscono. Credo che l’aver indirizzato l’esecuzione penale più sulle misure alternative che sul carcere sia ottimo, sempre che si destinino risorse umane ed economiche a questo scopo. Riservare il carcere solo ai casi più gravi significa ridurne drasticamente la popolazione e, di conseguenza, avere la possibilità e i mezzi per aumentare le attività risocializzanti, quali scuola, lavoro, sport, cultura, affetti: tutto questo lo si può avere però solo se il carcere non diviene estraneo, come è purtroppo oggi al territorio ove si trova, e alle istituzioni rappresentative.

Quali gli aspetti negativi?

Si doveva avere il coraggio di abolire il doppio binario che esclude dal trattamento individualizzato alcune categorie di detenuti quali quelli dichiarati appartenenti alla criminalità organizzata: anche per loro occorre prevedere una pena costituzionale. La pena nella pena del 41- bis e l’isolamento devono scomparire se vogliamo essere uno Stato di diritto ove vigono i diritti umani fondamentali, quelli universalmente riconosciuti.

Questa riforma arriva dopo 4 anni la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per le condizioni inumani e degradanti delle nostra carceri. Quali sono state le resistenze più forti che hanno impedito il risultato appena ottenuto?

La resistenza più potente è stata quella dei mass- media che hanno alimentato campagne d’odio, omettendo di riconoscere quanto ci dicono le indagini scientifiche e cioè che una pena riumanizzante dà alla società molta più sicurezza della semplificazione contenuta nella drastica e definitiva segregazione carceraria.

Quanto ha pesato l’apporto di Marco Pannella prima e del Partito Radicale adesso?

Io credo molto se è stato lo stesso ministro della Giustizia a riconoscerlo. Anche quando Orlando ha richiamato l’importanza del messaggio alle Camere di Napolitano del 2013 occorre ricordare quanto Marco Pannella abbia stimolato il Presidente che per buona parte del suo duplice mandato aveva invece ritenuto inutile rivolgersi al Parlamento con lo strumento previsto dall’art. 87 della Costituzione.

Commentando la riforma il ministro Orlando a Radio Radicale ha ringraziato prima i radicali, poi Napolitano e il Papa. Una scelta non casuale?

Mi ha fatto davvero piacere: direi che ci sia stata, nel dialogo, una felice sinergia. Come dimenticare la telefonata di Bergoglio a Pannella in sciopero della sete? E, a pensarci bene, gli unici che hanno richiesto la vietatissima “amnistia” sono stati proprio Pannella ( per una vita), Napolitano ( con il messaggio alle Camere), Papa Francesco ( con il Giubileo dei carcerati e non solo).

Lei ci ha tenuto subito a ringraziare “30.000 detenuti che hanno aderito al Satyagraha, a coloro che hanno digiunato partecipando alle diverse fasi della lotta nonviolenta dall’estate del 2016”. Una lotta nonviolenta, costante, fuori dai riflettori ma che è stata un pezzo importante del puzzle.

Il filosofo Aldo Masullo riferendosi al digiuno di decine di migliaia di detenuti ha parlato di “salto culturale” della popolazione reclusa, un loro “ritorno alla società” pur rimanendo segregati in una cella. Un tempo c’erano le rivolte, oggi c’è questa forma nonviolenta di reagire alla violenza delle istituzioni spesso incapaci di rispettare le loro stesse leggi. È un notevole passo avanti. Una massa critica capace di cambiare la realtà circostante cambiando in primo luogo se stessa.

Quali saranno i prossimi passi?

Ah, ora comincia il bello non solo perché in Italia ottenuta una riforma occorre fare in modo che questa sia attuata, ma perché la lotta più profonda e difficile deve necessariamente riguardare il fronte della Giustizia che da noi è il più grande problema sociale, istituzionale e civile che abbiamo.

La tradizione non cambia: anche quest’anno il 31 e l’anno prossimo - il primo gennaio - sarà prima a Rebibbia e poi a Regina Coeli.

Il 31 con Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti diremo addio all’anno appena trascorso assieme ai detenuti e ai “detenenti” di Rebibbia, mentre il primo giorno dell’anno sarò felice di visitare Regina Coeli insieme all’Ambasciatore Claudio Moreno che in quel carcere c’è stato da detenuto più di vent’anni fa: sarà interessante ripercorrere con lui quei corridoi, quelle sale, quelle celle per rivivere situazioni e condizioni vedremo quanto diverse da quelle di tanti anni fa.

Questo risultato arriva qualche giorno dopo il superamento dei 3000 iscritti al Partito Radicale che lo hanno salvato dallo scioglimento. Cosa si augura per il 2018?

Di completare l’obiettivo dei 3.000 anche per il 2018 e, quindi, di convocare il Congresso ordinario nel 2019 per progettare e costituire insieme agli iscritti, centinaia dei quali non italiani, il Partito della nonviolenza transnazionale e transpartito, dello Stato di diritto, degli Stati uniti d’Europa, del diritto umano alla conoscenza.