E' in carcere da un anno e mezzo e la sua sorte rimbalza ancora da un tribunale all’altro. La Cassazione ha infatti annullato con rinvio, per la seconda volta, la custodia cautelare a carico del senatore calabrese di Gal Antonio Caridi, in carcere da luglio del 2016 e a giudizio nel processo “Gotha” con l’accusa di associazione mafiosa. «Un’evenienza non frequente», spiega al Dubbio Valerio Spigarelli, difensore, assieme al collega Carlo Morace, del politico e che in attesa delle motivazioni della sesta sezione penale evidenzia la rarità dell’annullamento, in meno di un anno, di due provvedimenti in tema di libertà personale rispetto alla stessa persona.

Il primo annullamento della decisione del tribunale del Riesame di Reggio Calabria, che aveva confermato la custodia in carcere per Caridi, evidenziava come i giudici non avessero risposto alle obiezioni sollevate dalla difesa, limitandosi ad un mero copia e incolla dell’ordinanza di custodia cautelare, con un provvedimento carente «in punto di gravità indiziaria». Il riesame aveva però riconfermato l’esigenza di tenere il senatore in carcere, avallando la tesi della Dda di Reggio Calabria, secondo la quale Caridi sarebbe stato “allevato” dalla zona grigia dove si fondono ‘ ndrangheta e massoneria in Calabria per controllare l’economia della Regione.

Il politico, secondo l’accusa, sarebbe stato appoggiato per almeno 13 anni dai clan, in quanto «soggetto strumentale rispetto alle finalità della stessa componente riservata e segreta», al cui vertice ci sarebbero l’ex deputato Paolo Romeo, l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra, l’avvocato Giorgio De Stefano e il funzionario Francesco Chirico. Dopo il voto in Senato, ad agosto dello scorso anno, Caridi si era consegnato a Rebibbia e da allora non è più uscito dal carcere.

«La Cassazione - dice Spigarelli - già a marzo aveva spiegato che la decisione era stata totalmente copiata dall’ordinanza di custodia cautelare, ben 3165 righe su 3200, senza, dunque, un’autonoma valutazione e senza confutare le nostre deduzioni». Tra queste l’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti oltre il 2 febbraio 2013, termine di scadenza per le indagini preliminari. Caridi fu infatti iscritto sul registro degli indagati con lo pseudonimo “Nino” il 2 febbraio 2011, con l’accusa di concorso esterno e corruzione elettorale aggravata: tutti gli atti prodotti successivamente al 2 febbraio 2013 come gli interrogatori del pentito Salvatore Aiello -, dunque, non sarebbero utilizzabili.

La difesa ha anche stigmatizzato l’utilizzo di verbali di vari pentiti «largamente omissati, con parti non comprensibilmente cancellate», chiedendo, dunque, di individuare i limiti del potere attribuito al pm nella selezione del materiale da sottoporre al giudice della cautela. Un rilievo, secondo la Cassazione «di indubbio fondamento», in primo luogo perché si tratta di materiale datato e in seconda istanza evidenziando «l’evidente incongruenza di omissis» su dichiarazione riferibili a Caridi. I legali hanno messo in dubbio pentiti e indagini, in particolare un punto ritenuto centrale, ovvero l’incontro, riferito da Aiello, avvenuto tra Caridi e il boss Paolo Caponera tra il 2006 e il 2007, periodo nel quale quest’ultimo era detenuto. «Caponera è rimasto in carcere dal 2005 al 2009 - spiega Spiegarelli -. Il primo Tribunale della Libertà aveva dovuto prendere atto del fatto e aveva quindi spostato ipoteticamente questo incontro nel 2010. Una data basata su nessun presupposto e comunque ancora sbagliata, perché in quell’anno l’oggetto dell’incontro sarebbe stato senza senso, dato che si sarebbe dovuto discutere di alcune assunzioni in una partecipata che nel 2010 non c’era più. Il secondo tdl ha dunque attribuito al pm l’errore - aggiunge -, circostanza non vera, perché il pentito lo ha ripetuto almeno tre volte. L’incontro, dunque, viene spostato dal secondo riesame nel 2005, data che Aiello non ha mai riferito». Ma non si tratta del solo elemento contestato: secondo l’impostazione accusatoria, Caridi sarebbe stato in strettissimi rapporti con Romeo. I due sono stati intercettati dal 2005 al 2014, ma «in tutto questo arco di tempo - spiega il legale - ci sono solo due conversazioni, una nel 2005 e una nel 2012. Caridi con Romeo non aveva nulla a che fare e addirittura, in una conversazione, Romeo prende le distanze da lui».

L’accusa parla anche dell’impegno di Caridi, in cambio di 150- 200 voti da parte del clan Tegano, a parlare con un dirigente delle Ferrovie, Salvatore Sentina, per aumentare il volume di lavoro della ditta Ferroser e, quindi, quello delle tangenti imposte dal clan. Ma mentre il Ros collocava Sentina in servizio a Reggio Calabria, i tabulati allegati dagli stessi investigatori lo danno in servizio a Rimini. «Abbiamo sentito noi stessi l’avvocato - conclude Spigarelli -, che ha confermato di non aver mai ricevuto richieste da Caridi e di trovarsi altrove» .