«Fino a prova contraria, il titolo del libro di Annalisa Chirico, riassume tutto perchè parte dalla presunzione di innocenza, un principio costituzionale che ci siamo un po’ dimenticati». Paola Severino, ex ministro della Giustizia del Governo Monti e Rettrice dell’Università Luiss Guido Carli di Roma esordisce così alla presentazione del libro della giornalista del Il Foglio, che analizza il rapporto complesso e contrapposto tra media, politica e giustizia in Italia.

Al tavolo dei relatori, nel giorno dei nuovi provvedimenti sull’inchiesta Consip, siede anche l’ex premier Matteo Renzi: «A leggere il libro viene da chiedersi: di chi è la colpa di questo sistema?». Una domanda alla quale l’attuale segretario del Pd risponde chiamando alla corresponsabilità tutti i soggetti pubblici: magistratura, politica e giornalismo. «Il politico ha vissuto gli ultimi vent’anni in un clima di subalternità culturale nei confronti della magistratura», è l’analisi di Renzi, il quale ha rivendicato un primato dei suoi 1000 giorni di governo: «Noi siamo stati i primi a non aver paura di dire in Parlamento che è barbarie chiedere le dimissioni di un politico dopo un avviso di garanzia». La magistratura, invece, «è l’unico luogo in Italia in cui le correnti hanno un ruolo e uno spazio politico, ma spetta al Csm giudicare se ciò sia un bene». Parlando delle ingerenze dei media nel sistema giustizia con la pubblicazione indebita delle intercettazioni, l’ex premier ha toccato anche il tema Consip, dopo la sospensione del capitano Scafarto. «Fa male vedere le proprie parole dette a persone care trasformate in inchiostro e tagliuzzate sui giornali. Così si calpestano le vite delle persone e si va oltre qualsiasi ricerca della verità in nome di presunti scoop», è il commento di Renzi, il quale ha ribadito di non voler entrare nel merito dell’inchiesta: «A livello personale mi costa farlo, perchè ho visto la sofferenza dei miei familiari, ma da me non si sentirà mai una parola sopra le righe su questa vicenda. Non spetta a me far emergere la verità, ma dico che verrà fuori».

A fare da contraltare all’ex premier è intervenuto il magistrato ed ex procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, che ha dato ragione a Renzi su un assunto: «La subalternità della politica alla magistratura è iniziata nel 1994, quando il governo emanò il decreto legge Biondi. I quattro magistrati di Mani Pulite andarono in televisione a dire che era un attentato all’indipendenza della magistratura e che si sarebbero dimessi se non fosse stato ritirato. Allora la politica avrebbe dovuto proseguire per la sua strada, invece, gridò al golpe ma ritirò il decreto. Così è cominciata la vigliaccheria della politica». Un passaggio storico che, secondo Nordio, ha determinato un effetto: il vuoto di potere lasciato dalla politica ha comportato un avanzamento della magistratura, una parte della quale «ha sfruttato la notorietà delle indagini per presentarsi a fare politica». Un fenomeno, quello della porta girevole tra tribunale e Parlamento, che Nordio ha condannato duramente: «Il magistrato non può pensare di sostituirsi a chi ha messo in galera e deve considerare che, facendolo, tutto il suo operato in toga si presta a una rilettura politica». Un riferimento nemmeno troppo velato all’ultimo dei magistrati scesi definitivamente in campo: il leader di Liberi e Uguali, Piero Grasso. «Mi risulta che lui sia entrato in politica pochi giorni dopo aver lasciato la toga. Non ho paura a dirlo: non è bello e non va bene, perchè lascia la sensazione che la divisione dei poteri non sia poi davvero netta», è stato l’affondo dell’ex magistrato. Un attacco ben più netto di quello di Renzi, che è stato ben attento a tenersi alla larga dalle vicende politiche di settimana.