Difficile che ci sia qualcuno a cui non è mai capitato di leggere o sentir dire che la situazione è grave, davvero drammatica, tanto da “ricordare Weimar”? Più che una reale e specifica realtà, la Repubblica di Weimar, proclamata il 9 novembre 1918 e sepolta col decreto del 23 marzo 1933 che assegnava a Hitler i pieni poteri, è diventata un sinonimo buono per ogni situazione di crisi della democrazia, inclusi casi infinitamente meno gravi di quello della Repubblica tedesca negli anni ‘ 20. Da stasera su Sky Atalantic i telespettatori potranno conoscere qualcosa in più della realtà di Weimar grazie alla serie Babylon Berlin, tratta dal romanzo noir del tedesco Volker Kutscher Il pesce bagnato. In Italia il libro era uscito nel 2010 col titolo originale. Ora, dopo il successo in tv, viene riproposto con titolo identico a quello della seria da Feltrinelli ed è probabile che arriveranno anche gli altri cinque romanzi che Kutscher ha scritto dopo questo primo capitolo del 2008, tutti con protagonista l’ispettore Gereon Rath e tutti collocati negli anni del tramonto della Repubblica, dal 1929 al 1933.

I libri di Kutscher sono segnati da una estrema accuratezza storica, un’attenzione quasi ossessiva per i particolari che rendono la sua serie noir il miglior esempio di storia sociale e cronaca reale della Berlino alla vigila del Terzo Reich. La serie tv cerca di tenere botta e almeno stando alle critiche entusiastiche in Germania ci riesce. È costata parecchio, quasi 50 mln di euro, il massimo mai speso per una serie non in lingua inglese ma una cifra da zone altissime della classifica anche in generale. Le riprese sono proseguite per 180 giorni in quasi 300 location: un kolossal. In Germania è già andata in onda una seconda stagione, la terza dovrebbe seguire a breve.

I risultati sono stati confortanti, sia sul piano della critica che su quello di pubblico e vendite della serie all’estero. Merito del prodotto, certamente, ma anche del fascino che la Germania di Weimar, e Berlino in particolare, non ha mai smesso di esercitare, per quel mix di decadenza e tragedia incombente da un lato e di estrema creatività e modernità dei linguaggi dall’altro. Gli esempi abbondano. Il poliziotto protagonista della serie tv vive a Neukoln, allora quartiere operaio poi occupato dall’immigrazione turca: lo stesso dove avevano preso casa David Bowie e Iggy Pop quando presero casa a Berlino nei ‘ 70. Un’escursione che produsse la trilogia berlinese di Bowie, tre album straordinari fortemente influenzati dall’eco di Weimar. Dai Doors a Marianne Faithfull Weimar ha contaminato il rock e il pop moderno per il tramite della musica di Kurt Weill, eseguita negli anni da innumerevoli rockstar. Ma nessuno ha mai saputo fondere l’eredità blues e jazz americana con quella dei cabaret e delle sale da concerto della Berlino Babilonia come Tom Waits, che a partire dai tardi anni ‘ 70 ha sempre battuto e affinato quella via, sino ad affermarsi come uno degli autori più coraggiosi oltre che geniali del suo tempo.

Per il noir, poi, Weimar è un terreno ideale almeno quanto la New York o la Los Angeles della seconda metà del secolo scorso e forse anche di più. Era una città di locali notturni e trasgressione portata agli estremi, di malavita e commistioni frequenti tra il “mondo di sopra” e l’underworld. Ma era anche una città e una traversata da conflitti politici e sociali violentissimi, che si intrecciavano con una sperimentazione artistica che era all’avanguardia allora e lo è tuttora. Le avventure dell’ispettore Rath, già ispettore della sezione Omicidi passato poi alla assai meno prestigiosa Buoncostume, iniziano non a caso proprio nei giorni del maggio di sangue 1929, quando il divieto di manifestare per i comunisti innescò una settimana di battaglie tra operai e polizia per le squadre dei quartieri operai, con bilancio finale pesantissimo: una trentina di morti, oltre 1220 arresti.

La serie di Kutscher non è il grande romanzo sociale di Weimar. Quello è già stato scritto in tempi reali da Alfred Doblin, con il capolavoro del 1929, Berlin Alexanderplatz, trasformato poi in un eccezionale film per la tv in 14 puntate da Rainer Werner Fassbinder nel suo ultimo lavoro, del 1980. Non è neppure una panoramica sulla vita notturna e artistica della capitale, scintillante e crepuscolare, energica e debosciata. A quella aveva provveduto negli anni ‘ 30 Sherwood Anderrso con i due romanzi Mr. Norris se ne va e Addio a Berlino, da cui sono stati tratti sia il musical che il film del 1972 di Bob Fosse Cabaret. Il lato più oscuro della parabola della Repubblica di Weimar, culla del nazismo soprattutto a partire dal 1929, lo aveva invece descritto nel 1936 Klaus Mann, figlio di Thomas, nel suo principale romanzo, Mephisto, dal quale Istvàn Szbò, maestro del cinema ungherese, ha poi tratto un film omonimo bello quanto il romanzo originale nel 1981.

Sul fronte della letteratura mainstream l’avventura senza lieto fine di Weimar era già stata narrata in abbondanza e con risultati insuperabili. Restava però aperta una prateria per gli autori noir, e Kutscher non è stato il primo a sfruttarla. Il polacco Marek Krajevski, filologo e accademico, ha pubblicato sei romanzi, tre dei quali tradotti in italiano, tutti ambientati nella sua città, Breslavia, al confine tra Germania e Polonia: coprono un lasso temporale che va dal 1919 al 1945, con i russi alle porte della città ancora per poco tedesca. Anche l’americano Paul Grossman ha scritto una serie di tre romanzi, due dei quali reperibili in italiano, con un poliziotto di serie A, purtroppo ebreo, come protagonista e l’elenco potrebbe continuare con autori inglesi che negli ultimi decenni hanno rovesciato i canoni del thriller storico come Philip Kerr e Richard Harris.

Almeno dalla fine degli anni ‘ 60 in poi Weimar è stata una suggestione onnipresente, sia nella politica, come spettro incombente, che nella produzione creativa, come serbatoio inesauribile. Tanto da autorizzare il sospetto che a ricordare quel quindicennio non sia in realtà la situazione specifica di un Paese o di una crisi, ma sia invece l’intera modernità a covare il sospetto di stare riproducendo quell’esperienza tragica su scala planetaria.