LA POLEMICA/ 1

Oggi si conclude il processo d’appello contro Augusto Minzolini, il quale è accusato di abuso d’ufficio perché quando era direttore del Tg1 spostò una giornalista che leggeva il telegiornale ad un altro incarico. Il direttore - dicono il contratto dei giornalisti, la legge e la logica - deve decidere l’organizzazione del lavoro in redazione e gli organici, quindi i compiti da affidare ai giornalisti, però se decide queste cose in modo che non piace, per esempio, al sindacato interno, è un abuso.

Naturalmente non è vero che è un abuso, e infatti il tribunale civile aveva dato ragione a Minzolini.

Negando l’ipotesi che spostare una giornalista ( dopo una ventina d’anni di conduzione del TG) sia un abuso. Anche perché alla giornalista in questione non era stato proposto di andare in portineria, ma di fare il corrispondente da una grande capitale europea o di assumere l’incarico di caporedattore. La giornalista, però, sconfitta sul piano della giustizia civile, ha fatto ricorso alla giustizia penale, e l’ha avuta vinta. Il tribunale ha dato torto a Minzolini, lo ha condannato a quattro mesi di galera e ora Minzolini rischia in appello, visto che la Procura ha chiesto la conferma della condanna.

Speriamo che la Corte d’Appello, come sarebbe del tutto logico e anche abbastanza probabile, dia ragione a Minzolini e ponga fine a un caso evidente di persecuzione giornalistico- giudiziaria. Però la persecuzione è avvenuta, è durata molti anni, ha portato alla demolizione politica e professio- nale di Augusto Minzolini, che per unanime riconoscimento è stato uno dei giornalisti più dotati e brillanti della sua generazione.

Minzolini è stato per anni il notista politico principale della Stampa. Poi è stato anche corrispondente negli Stati Uniti. Era molto stimato perché i suoi articoli erano sempre informatissimi, e perché è stato il più prolifico produttore di scoop politici. Gli scoop lui li faceva andandosi a trovare direttamente la notizia, sul campo, non ricopiando veline avute dai partiti, o dai magistrati o dai servizi segreti. Il suo modo di fare questo mestiere è passato un po’ di moda. Oggi il gran giornalista non è più considerato quello che trova la notizia, o che la capisce, o che la sa commentare in modo approfondito e originale, ma quello che ti porta una velina presa in procura o da qualche 007. Devo dire che questo tipo di giornalisti esistevano anche una ventina d’anni fa. Li chiamavamo, con disprezzo un po’ altezzoso, le “buste gialle”, perché in genere la velina gli arrivava sigillata in una busta di carta giallina. Erano brava gente, ma erano collocati in fondo alla scala gerarchica, con possibilità di carriera scarsina. Ora le “buste gialle” si sono vendicate: comandano loro in molte redazioni.

La disgrazia per Minzolini fu di accettare la direzione del Tg1 quando, nel 2009, Berlusconi era al governo. Esiste, nel giornalismo italiano, una “potenza” - fortissima soprattutto in Rai – che non perdona i propri nemici. E il direttore nominato dal governo Berlusconi fu considerato da questa “potenza”, a prescindere, un nemico, anche perché era uno esterno, uno che veniva dalla carta stampata, un intellettuale fuori- riga, un corpo estraneo.

Gliela giurarono. E quando intervennero anche le procure, per Minzolini restò chiusa ogni via di scampo. Fu mandato sotto processo per una nota spese. Assolto: nessun delitto. Assolto dal tribunale e poi dal giudice del lavoro che obbligò la Rai a risarcirlo. Salvo? Macché.

La Procura va in appello. Nel frattempo Minzolini lascia la Rai ed entra in politica. Con il centrodestra. Viene eletto in Senato. E questo, probabilmente, peggiora la sua situazione. Diventa ancor più di prima un bersaglio privilegiato. E infatti, clamorosamente, perde il processo di appello. Due anni e mezzo di condanna, sei mesi in più rispetto a quella chiesta in primo grado e rifiutata dai giudici. Tra i giudici che lo condannano in appello – rovesciando in modo del tutto inaspettato la sentenza di primo grado - c’è un certo Nicola Sinisi, ex parlamentare di centrosinistra ed ex sottosegretario del governo Prodi, avversario politico dichiarato del senatore Minzolini. Non c’è conflitto di interessi? Può un ex deputato giudicare un suo ex collega ed ex avversario politico? Nel mondo ( dagli Stati Uniti al più piccolo paese africano) no, è chiaro: qui da noi si. Può e condanna. Allora si va in Cassazione. Chi c’è nel collegio che giudica Minzolini in Cassazione? Stefano Mogini, persona rispettabilissima, intendiamoci, ( come del resto lo stesso Sinisi) ma che ha avuto anche lui incarichi rilevanti nel governo Prodi. È stato tra l’altro capo di gabinetto del ministro della Giustizia. E così per Minzolini non c’è scampo. Condannato. Dovrebbe decadere anche da senatore, ma un gruppo di senatori di sinistra, garantisti, vota – insieme al centrodestra - contro la sua decadenza, facendo gran scandalo e mandando un segnale di dignità che non piace affatto a parte della magistratura e ai suoi giornali. Contro Minzolini e contro i senatori si scatena una campagna mediatica, danno del venduto a intellettuali di sinistra di primissimo piano come Mario Tronti, Luigi Manconi, Emma Fattorini, Massimo Muchetti. Minzolini a quel punto manda tutti a quel paese e si dimette da senatore. L’Odine dei giornalisti lo sospende dall’albo. Per lui è la morte civile.

Ora sta scontando ai servizi sociali la pena di due anni e mezzo e aspetta il processo d’appello per questa nuova accusa. Non può scrivere sui giornali, non può esprimere le sue idee, non può lavorare, non dispone di alcuno stipendio È una cosa molto grave, e per fortuna insolita, che in un paese democratico, che fa parte dell’Europa civile, sia possibile e legale una persecuzione così accanita contro un giornalista. Sarebbe importante se a suo favore ci fosse una mobilitazione dei colleghi. Purtroppo, invece, sin qui la mobilitazione è stata di segno opposto, guidata da tanti iscritti all’ordine, o al sindacato, che di doti professionali non ne hanno molte e, per questo, uno come Minzolini gli garba poco.