Renzi, stavolta, ha tutte le ragioni: discutere sul candidato premier, con questa legge elettorale e nel quadro politico dato nel Paese, è appena un po’ meno concreto che discettare sul sesso degli angeli. Però non è mica un caso, e non è neppure insignificante, se questa discussione surreale occupa quasi per intero le notti insonni di un partito inguaiato come il Pd. E’ la conseguenza logica di una malattia che nel corso dei decenni è dilagata, sino ad apparire oggi quasi inguaribile. Quella che solo Giorgio Napolitano ha saputo denunciare con la necessaria precisione.

Come in un romanzo di Philip Dick o in Matrix, da quasi 24 anni viviamo tutti in una sorta di grande inganno, una realtà politica virtuale. Si allude al nodo aggrovigliato dell’elezione diretta del premier. Nell’impossibilità di adottarla l’Italia ha scelto una classica soluzione all’italiana: ' fare finta di'. Insomma, l’elezione diretta non c’è ma facciamo come se ci fosse.

Tutto è iniziato con le elezioni del 1994, le prime senza legge elettorale proporzionale, e solo gli sprovveduti ne rimasero sorpresi. Da mesi, in attesa del fatidico referendum del 1993 sulla legge elettorale, chiunque parlasse della spinosa materia con cognizione di causa ripeteva che per funzionare quel sistema richiedeva l’elezione diretta del premier. Tra leggi elettorali e sistema istituzionale deve esserci omogeneità, pena il caos. Alla vigilia delle prime elezioni per il maggioritario, invece, nessuno si poneva il problema di indicare un candidato premier. Non si era mai fatto prima, perché cambiare le buone abitudini solo perché la legge elettorale era stato rovesciata come un guanto?

Il perché lo spiegò con l’evidenza di una dolorosa randellata il nuovo arrivato, Silvio Berlusconi. Dotato di fiuto raro per gli umori dei concittadini, capì al volo, anzi a pelle, che nel nuovo clima, nella retorica della scelta concentrata sul valore aggiunto del ' candidato di collegio' gli elettori avevano bisogno di uniformare la scelta anche nella scelta del capo del governo. Berlusconi puntò su stesso. Offrì non un nuovo partito ma un leader da inviare a palazzo Chigi. Centrò il bersaglio.

Solo che la retorica è una cosa, le regole istituzionali un’altra. Nessuna norma obbligava a confermare la bugia del premier eletto. Infatti appena nove mesi dopo Berlusconi fu sostituito a palazzo Chigi da un premier, Lamberto Dini, che alle elezioni neppure si era presentato. Due anni dopo, però, anche la controparte arrivò all’appuntamento fattasi furba. Al candidato Silvio contrappose il candidato Prodi. Gli elettori entrarono nelle urne con la convinzione, infondata, di dover scegliere tra Berlusconi e il Professore. Optarono per il ciclista di Bologna, ma anche in questo caso la realtà, o più precisamente la Costituzione, si mise di traverso. Dopo due anni e mezzo Prodi fu sostituito da un leader, Massimo D’Alema, che mai aveva chiesto di votarlo come aspirante palla presidenza del consiglio. Prodi, come già Berlusconi quando la malasorte era toccata a lui, reclamò il ritorno al voto sbandierando il dovuto rispetto per la volontà degli elettori. Proprio come a Berlusconi quattro anni prima gli andò malissimo. Capita che la volontà popolare, necessiti infatti di preciso riscontro costituzionale per poter essere invocata.

D’Alema, nonostante gli strepiti, rimpiazzò dunque l’Eletto a palazzo Chigi, ma pagò cara l’incoronazione. Proprio in nome dell’ambiguità tra le scelte di pertinenza dell’elettorato e quelle delegate invece al Parlamento conquistò allora, in buona parte a torto, quell’aura di intrigante e traditore che ancora lo danna. La sceneggiata della falsa elezione diretta proseguì poi per una decina d’anni senza grossi incidenti di percorso fino al 2011, data della nuova detronizzazione di Berlusconi, sostituito di nuovo da un mai eletto, Mario Monti.

Sarebbe stato opportuno finirla con la bugia di massa, invece proprio in nome di quella illusione i presidenti del consiglio della successiva legislatura, ben tre, Letta, Renzi e Gentiloni, sono stati vissuti dal popolo votante come uno schiaffo alla democrazia: ' Nessuno li ha mai eletti'. Anche perché a carta vigente nessuno doveva eleggerli, ma sono particolari.

Ma l’apogeo arriverà con le prossime elezioni. Ci saranno le coalizioni, anche se posticce e dunque senza candidato comune. Poco male se non fosse che però è richiesto il nome del candidato dei singoli partiti coalizzati o meno e non si capisce in base a quale norma costituzionale. E cosa succede se vince una coalizione? Ovvio, va il candidato del partito che ha preso più voti! Solo che in queste cose non esistono ' ovvietà' e neppure accordi tra gentiluomini. Che succede se un partito arriva qasia alla pari e poi denuncia l’accordo? La faccenda in realtà è anche più surreale. Infatti nella quasi certa eventualità che nessuno vinca saranno necessari accordi trasversali, parlamentari appunto, e in quel caso il candidato di un partito partirà azzoppato proprio perché troppo caratterizzato per coronare un’intesa tra forze diverse provenienti da coalizioni diverse. Come dire: chi vota per il candidato di partito ha la quasi certezza che quel candidato non arriverà mai a palazzo Chigi. E poi vagli a dar torto se si sente turlupinato....